ARGOMENTI
LOGICA DEL DISCORSO ANALITICO
Nel Seminario XVII, Il rovescio della psicoanalisi (1968-69), Lacan cerca di formalizzare la struttura del legame sociale che chiama discorso del Padrone (ovvero il discorso della Civiltà). In buona sostanza la teoria dei discorsi può essere pensata come la riscrittura della metapsicologia freudiana depurata dalla ambigua rappresentazione dell'apparato psichico avanzata da Freud stesso, oltre che il tentativo di Lacan di costituire una teoria generale dello psichismo. Una teoria cioè che, come indicato da Althusser, sia in grado di dare un quadro generale di riferimento alla teoria regionale costituita dalla psicoanalisi. Inoltre, i discorsi presentano in modo schematico i vari modi del legame sociale. Il discorso del padrone è quello fondante tutta la serie dei discorsi, è il discorso fondante perché si configura come il discorso stesso della civiltà, cioè dell'idea stessa che possa esistere qualcosa come un discorso. In esso viene chiaramente rappresentata la fondamentale dialettica servo/padrone che Lacan mutua da Hegel e che viene utilizzata in più punti del suo insegnamento. Il posto dell'agente è occupato dal significante padrone, S1, mentre il posto della verità è occupata dal soggetto, S. Una barra separa inesorabilmente il significante dal soggetto. Un significante spinge il soggetto al di sotto della barra e il soggetto viene egli stesso barrato nei confronti del resto della catena. La rimozione originaria è questa sostituzione significante da cui il soggetto emerge veicolando altri significanti. Il posto dell'altro è occupato dal sapere, S2. Il significante padrone, S1, e il sapere, S2, sono messi in relazione da una freccia che indica la struttura elementare ed essenziale del dispositivo significante. I due significanti si costituiscono in una catena disgiunti da un intervallo che impedisce la costituzione di un'olofrase. Il sapere, l'Altro come tesoro dei significanti, è mobilitato, attivato dal significante-padrone. La struttura del discorso del padrone è quindi la struttura fondante di ogni possibile discorso perché permette la mobilitazione della catena significante (1), perché il soggetto vi trova posto come rappresentato da un significante per un altro significante e perché tale operazione permette la produzione come resto di un elemento fondamentale nella struttura di desiderio soggettiva: l'oggetto a. Da questo primo schema, per rotazione, si originano gli altri tre discorsi: quello dell'Isterica, quello dell'Università, quello dell'Analista.
Quattro discorsi articolati attraverso il passaggio, in un quarto di giro, dei quattro elementi (S1, S2, a, S) in quattro posizioni fisse: l’agente, l'Altro, il prodotto e la verità. La rivoluzione che Lacan propone è quella che fa il giro dei quattro discorsi: ripassando per il discorso dell'analista si può recuperare anche per il sapere un posto che non sia di potere e ridare all'università la possibilità di produrre soggetti divisi invece che professori. A questi quattro discorsi Lacan aggiunge un quinto, il discorso del Capitalista che è la degenerazione nel mondo contemporaneo del discorso del Padrone.
Nel discorso capitalista al posto di comando vi è il soggetto diviso, S1 è sotto la barra e si anima solo nell'avida consumazione dell'oggetto gadget. Ognuno che venga preso nel discorso della società capitalista non produce una catena significante ma cerca di supportare la propria divisione soggettiva e la propria mancanza affidando all'altro sociale la produzione della merce-godimento.
(1) Cfr. S. Freud, Il disagio della civiltà (1930), in Freud, Opere, Vol. 10
Quattro discorsi articolati attraverso il passaggio, in un quarto di giro, dei quattro elementi (S1, S2, a, S) in quattro posizioni fisse: l’agente, l'Altro, il prodotto e la verità. La rivoluzione che Lacan propone è quella che fa il giro dei quattro discorsi: ripassando per il discorso dell'analista si può recuperare anche per il sapere un posto che non sia di potere e ridare all'università la possibilità di produrre soggetti divisi invece che professori. A questi quattro discorsi Lacan aggiunge un quinto, il discorso del Capitalista che è la degenerazione nel mondo contemporaneo del discorso del Padrone.
Nel discorso capitalista al posto di comando vi è il soggetto diviso, S1 è sotto la barra e si anima solo nell'avida consumazione dell'oggetto gadget. Ognuno che venga preso nel discorso della società capitalista non produce una catena significante ma cerca di supportare la propria divisione soggettiva e la propria mancanza affidando all'altro sociale la produzione della merce-godimento.
(1) Cfr. S. Freud, Il disagio della civiltà (1930), in Freud, Opere, Vol. 10
LA PERSISTENZA DELLA COLPA
Lacan si domanda quale sia il modo, nell'esperienza analitica, di rispondere alla domanda di felicità del paziente. Dal momento, infatti, che viene formulata una domanda di felicità e dato che la richiesta di felicità segna il contesto storico in cui la psicoanalisi fa la sua comparsa, una felicità generalizzata che vuole essere massimizzata, gli analisti si trovano posti di fronte al tema centrale dell'etica. Solo un giudizio etico può stabilire il metro dell'azione psicoanalitica.. Il metro con il quale la psicoanalisi si interroga sull'etica e ne propone la revisione è il rapporto dell'azione con il desiderio inconscio. La risposta analitica alla domanda di felicità del paziente si deve sottomettere alla disciplina più severa della salvaguardia del desiderio inconscio che abita la domanda analitica. Muovendo dal ritorno a Freud, dalla lettura di due testi che impostano la questione dell'etica, e cioè Totem e Tabù e Il disagio della civiltà Lacan sviluppa il filo dell'interrogazione sui paradossi del desiderio, sul nesso fra il desiderio stesso e la serie concettuale rappresentata dalle nozioni di bene, piacere, dovere, colpa. Secondo Lacan infatti l'esperienza dell'analisi, più di ogni altra, obbliga ad approfondire il senso di colpa, perché mai come nella nostra epoca il legame della colpa con la psicopatologia è giunto ad interessare così direttamente la riflessione morale. L'analisi infatti è testimonianza della contemporanea persistenza di colpa e legge. Con Totem e Tabù comprendiamo che la colpa di cui si parla non è semplicemente quella che commette il paziente per un bisogno di punizione, ma una colpa più oscura connessa al crimine originario dell'umanità, l'uccisione del padre dell'orda primitiva. Questa colpa originaria, che emerge in forme molteplici nell'esperienza clinica, che designa il mito fondatore della civiltà, l'omicidio del padre primordiale permette ai figli la costruzione della convivenza umana attraverso la repressione del desiderio e rende possibile l'istituzione della civiltà. Ma con il secondo testo di Freud, relativo alla seconda topica e alla formulazione della pulsione di morte, Lacan richiama una nozione di colpa ancora più oscura e primitiva, legata appunto alla pulsione di morte. Durante il seminario egli tornerà più volte su questo fatto che la coscienza morale si mostra crudele ed esigente tanto più la si rispetta e la si osserva. Nell'analisi e nell'esperienza etica che con essa è possibile articolare in modo nuovo abbiamo la colpa originaria che costituisce il disagio della civiltà, cioè l'istinto di morte che attraversa l'uomo nel più profondo di se stesso. Per Lacan è necessario, quindi, affrontare la decostruzione dell'ideologia fondata sull'affrancamento naturalistico del desiderio. La persistenza della colpa costituisce la più evidente sconfitta di tale pensiero. Il lato patologico dell'esperienza morale non è stato risolto da chi ha riposto la speranza di liberazione nella relativizzazione dell'imperativo etico e si è affidato all'affermazione di un pensiero libertino che a partire dal XVIII secolo si è affermato in Europa. Sebbene si possa ancora misurare l'incidenza nel nostro presente del pensiero libertino, per esempio nel discorso dominante che punta alla liberazione del desiderio dai doveri e dalle leggi, oppure nella tesi di un uomo del piacere che vede tutto ridotto a datità naturale, tutto ciò non riduce però il senso di colpa. Alla luce della psicoanalisi dell'esperienza perversa infatti possiamo capire come questa teoria morale fosse destinata ad uno scacco. Il Marchese de Sade fornisce l'occasione per sottolineare come, nonostante l'insistenza sull'affiancamento del desiderio l'esperienza libertina abbia di mira la sfida a Dio. Ma se si cerca di attribuire a Dio le anomalie del desiderio lo si ritrova nella veste di Altro supremo, di Giudice.
Per Lacan la questione può essere meglio colta se si confronta la riflessione sul desiderio con la teoria dell'etica che Aristotele viene sviluppando, in particolare, nell'Etica nicomachea. Aristotele estromette tutto un campo del desiderio dal campo morale. Per Aristotele tutta una serie di desideri di tipo sessuale vengono infatti classificati come bestialità. Lacan dice che alla luce della psicoanalisi una formulazione come quella non può che apparire anacronistica.
La pulsione di morte deve essere intesa come una pulsione storica legata al simbolico che struttura il desiderio umano. La questione etica non è riconducibile alla genesi del Super-io anche in un altro senso che preannuncia la necessità di indagare quanti vi è di tragico nell'esperienza umana, di portarlo alla luce grazie all'analisi stessa della tragedia antica, del contenuto di verità insito nel testo tragico (il cui esempio più alto può essere considerata, concordemente con Hegel, l'Antigone di Sofocle). Freud infatti ha svelato un altro imperativi etico al di là di quello super-egoico. Quest'ultimo è ciò da cui ci si difende, facendo i conti con il senso di colpa, l'altro è un senso positivo che va "abbracciato". E' l'imperativo racchiuso nella trentunesima delle Neue Vorlesungen nella massima “Wo Es War, soll Ich werden”,“Dove era l'Es, deve subentrare l'Io” Lacan traduce: io (je) devo divenire dove esso era. Per Lacan la psicoanalisi non è fondabile in nessun modo come scienza naturalistica. L'uomo è un essere che la filogenesi ha gettato fuori dalla dimensione naturale e quindi la vicenda delle pulsioni stesse è una vicenda storica. Qui risiede proprio la risposta alla questione della pulsione di morte e del disagio della civiltà. E qui possiamo parlare di aspetto kerygmatico dell'etica della psicoanalisi. Non si tratta di giustificare una colonizzazione da parte dell'Io di ciò che costituirebbe la riserva incolta dell'inconscio, quanto piuttosto di consentire all'inconscio di rivelarsi e al soggetto di assumere eticamente questa rivelazione, di essere là dove è il proprio desiderio inconscio. L'opposizione a questa separazione è il nucleo del "neoilluminismo tragico", oltre che neoesistenzialismo e neo-strutturalismo di Freud e Lacan. Per Freud respingere l'assunzione etica del proprio inconscio, ovvero rifiutare il vincolo fondamentale che lega il soggetto al proprio essere pulsionale, significa metapsicologicamente mantenere separati l'io e l'es. I confini tra Bene e Male, tra il razionale e l'irrazionale, non sono confini insormontabili ma devono essere pensati a partire dalla loro contaminazione permanente. Il soggetto appare vincolato all'inconscio. E' a causa di questo vincolo che Freud dichiara che "sono come costretto ad assumermi la responsabilità dell' Es" (1925). Infatti il rifiuto dell'Es è la viltà più imperdonabile e il nucleo dell'"ipocrisia morale". E' stato considerato anche l'espressione del carattere alienato della dialettica dell'illuminismo, del carattere strumentale della ragione illuministica descritto da Adorno e Horkheimer (1949). Nelle pagine finali del seminario Lacan riformulerà perciò l'imperativo analitico in questi termini: ”Propongo che l'unica cosa di cui si possa esser colpevoli, perlomeno nella prospettiva analitica, sia di aver ceduto sul proprio desiderio” (Lacan, Seminario VII, p. 401). La catarsi del desiderio, la sua purificazione da ogni illusione in cui il desiderio si può alienare, sarà alla fine ciò che deve essere attraversato perché il soggetto, esattamente come in una rappresentazione tragica, assuma fino in fondo il proprio.
Per Lacan la questione può essere meglio colta se si confronta la riflessione sul desiderio con la teoria dell'etica che Aristotele viene sviluppando, in particolare, nell'Etica nicomachea. Aristotele estromette tutto un campo del desiderio dal campo morale. Per Aristotele tutta una serie di desideri di tipo sessuale vengono infatti classificati come bestialità. Lacan dice che alla luce della psicoanalisi una formulazione come quella non può che apparire anacronistica.
La pulsione di morte deve essere intesa come una pulsione storica legata al simbolico che struttura il desiderio umano. La questione etica non è riconducibile alla genesi del Super-io anche in un altro senso che preannuncia la necessità di indagare quanti vi è di tragico nell'esperienza umana, di portarlo alla luce grazie all'analisi stessa della tragedia antica, del contenuto di verità insito nel testo tragico (il cui esempio più alto può essere considerata, concordemente con Hegel, l'Antigone di Sofocle). Freud infatti ha svelato un altro imperativi etico al di là di quello super-egoico. Quest'ultimo è ciò da cui ci si difende, facendo i conti con il senso di colpa, l'altro è un senso positivo che va "abbracciato". E' l'imperativo racchiuso nella trentunesima delle Neue Vorlesungen nella massima “Wo Es War, soll Ich werden”,“Dove era l'Es, deve subentrare l'Io” Lacan traduce: io (je) devo divenire dove esso era. Per Lacan la psicoanalisi non è fondabile in nessun modo come scienza naturalistica. L'uomo è un essere che la filogenesi ha gettato fuori dalla dimensione naturale e quindi la vicenda delle pulsioni stesse è una vicenda storica. Qui risiede proprio la risposta alla questione della pulsione di morte e del disagio della civiltà. E qui possiamo parlare di aspetto kerygmatico dell'etica della psicoanalisi. Non si tratta di giustificare una colonizzazione da parte dell'Io di ciò che costituirebbe la riserva incolta dell'inconscio, quanto piuttosto di consentire all'inconscio di rivelarsi e al soggetto di assumere eticamente questa rivelazione, di essere là dove è il proprio desiderio inconscio. L'opposizione a questa separazione è il nucleo del "neoilluminismo tragico", oltre che neoesistenzialismo e neo-strutturalismo di Freud e Lacan. Per Freud respingere l'assunzione etica del proprio inconscio, ovvero rifiutare il vincolo fondamentale che lega il soggetto al proprio essere pulsionale, significa metapsicologicamente mantenere separati l'io e l'es. I confini tra Bene e Male, tra il razionale e l'irrazionale, non sono confini insormontabili ma devono essere pensati a partire dalla loro contaminazione permanente. Il soggetto appare vincolato all'inconscio. E' a causa di questo vincolo che Freud dichiara che "sono come costretto ad assumermi la responsabilità dell' Es" (1925). Infatti il rifiuto dell'Es è la viltà più imperdonabile e il nucleo dell'"ipocrisia morale". E' stato considerato anche l'espressione del carattere alienato della dialettica dell'illuminismo, del carattere strumentale della ragione illuministica descritto da Adorno e Horkheimer (1949). Nelle pagine finali del seminario Lacan riformulerà perciò l'imperativo analitico in questi termini: ”Propongo che l'unica cosa di cui si possa esser colpevoli, perlomeno nella prospettiva analitica, sia di aver ceduto sul proprio desiderio” (Lacan, Seminario VII, p. 401). La catarsi del desiderio, la sua purificazione da ogni illusione in cui il desiderio si può alienare, sarà alla fine ciò che deve essere attraversato perché il soggetto, esattamente come in una rappresentazione tragica, assuma fino in fondo il proprio.
CLINICA STRUTTURALE
Lacan propone di affrontare la questione delle psicosi, prima di accedere al problema del loro trattamento, tema che sarà affrontato nell'articolo due anni dopo intitolato Questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi. La psicosi definita da Lacan come "invasione psicologica del significante" è da abbordare innanzitutto analizzando il rapporto del soggetto con il significante e con l'Altro, nei diversi piani dell'alterità: altro immaginario, Altro simbolico.(1) Il ritorno a Freud di Lacan negli anni "50 è operato da Lacan a partire dal primato del Simbolico, il campo dell'Altro, del linguaggio, campo preesistente al soggetto stesso e senza il quale non è pensabile. Lacan trae dall' antropologia strutturale di Levi Strauss il primato della cultura sulla natura e opera una rilettura della linguistica strutturalista di De Saussure, ma pur calandosi nell' orizzonte epistemico strutturalista non elimina la nozione di soggetto di fronte alla struttura ma in essa apre un varco per reintrodurre al suo interno soggetto: il soggetto "entra nel gioco come morto ma è come vivente che lo giocherà".(2) Lacan vede il soggetto non come mero effetto, una semplice "marionetta del significante" bensì un soggetto "tanto causato quanto causale" che assume una specifica posizione della quale ha sempre responsabilità. La teoria dello stadio dello specchio è necessaria per Lacan perché ci mostra il passaggio dalla teoria dell'immaginario a quella del simbolico e perché è uno dei riferimenti della sua teoria della paranoia. Riconoscendo la propria immagine il bambino acquisisce un'unificazione che rende possibile l'assunzione dell'ideale. L'identità raggiunta è tuttavia alienante in quanto l'immagine unificante è l'immagine dell'altro, l'immagine che permette un primo riconoscimento ma che al tempo stesso segna una frattura permanente in quanto il soggetto non potrà mai coincidere con quell' ideale riflesso.
Solo partendo da questa "identificazione primaria che struttura il soggetto come rivitalizzante con sé stesso"(3) è possibile comprendere l'aggressività dell'uomo che normalmente viene trascesa per mezzo di una identificazione secondaria a cui è stato dato il nome di "funzione di Edipo" che promuove la funzione pacificante dell'Ideale dell'Io. Già in Funzione e Campo Lacan sostiene che "è nel nome del padre che dobbiamo riconoscere il supporto della funzione simbolica e che dal sorgere dei tempi storici identifica la propria persona con la figura della legge"(4). Nome-del-Padre" da non confondere col padre reale la cui funzione simbolica veicola la legge attraverso la parola. L'aggressività riemerge in modo spesso eclatante nelle varie forme di regressione come nelle psicosi paranoica che manifestano in modo evidente che qualcosa non ha funzionato a livello edipico, qualcosa ha impedito il decentramento dell'asse narcisistico-speculare-rivalutato e l'introduzione di una dimensione terza, normativizzazione, pienamente simbolica e non più immaginaria. Lacan arriva a parlare di struttura paranoica dell'io(5) dal momento che l'identificazione è possibile solo assumendo l'immagine che lo specchio rimanda. L'identificazione all'immagine colloca l'io in una linea di finzione in quanto anticipa una unità che non corrisponde alla realtà del "corpo-in-frammenti"(6). L'immagine non potrà mai essere raggiunta, non c'è possibilità di riconciliazione dialettica degli opposti, vi è semmai la costituzione di una "lacerazione originale"(7) che segna il destino tragico dell'uomo al quale il narcisismo impone la struttura a tutti i suoi desideri spingendolo alla ricerca di un ideale che in realtà non gli è mai appartenuto. Ma se l'io è fondamentalmente paranoico Lacan mostra che è la struttura dell'Altro simbolico che consente un decentramento: "Questa base rivalitaria e concorrenziale a fondamento dell'oggetto è (...) ciò che è superato nella parola, in quanto essa interessa il terzo"(8). Quindi Lacan afferma che "l'inconscio è strutturato come un linguaggio”, Il soggetto dell'inconscio non è più il luogo della profondità, il contenitore dei significanti, ma è in superficie pur non essendo superficiale (nozione topologica), è l'effetto dell'entrata in campo dell'Altro. Il Seminario III si colloca nel momento in cui Lacan sta elaborando il passaggio dall'indagine delle leggi della parola all'indagine sulle leggi del linguaggio attraverso l'avvicinamento alla linguistica strutturalista e alla logica che gli forniscono gli strumenti per la sua analisi a partire dalle leggi della metafora e della metonimia. Lacan inverte l'ordine dato da De Saussure allo schema unificante del segno in un algoritmo che mette in evidenza la supremazia del significante cui il soggetto è sottoposto e attribuisce alla barra non una funzione unificante ma di divisione, di separazione che segnala la resistenza alla riunificazione. La distinzione tra significante e significato sarà di estrema utilità nell'analisi del fenomeno di linguaggio psicotici che potranno essere letti con grande precisione:" all'interno della psicosi tutto diventa segno, senso, ci è un arresto della catena significante, non vi è più rinvio da una significazione ad un'altra, ma la presenza di una significazione che non rinvia "a null'altro che a sé stessa" e l'imporsi di un significato che rinvia a "la significazione". Per lo psicotico nessuna anticipazione della significazione è sufficiente ad arrestare il senso che è così in eccesso da non potersi mai arrestare su una significazione che lascerebbe lo spazio per una possibile incertezza.
1) J. Lacan, Seminario III, Le psicosi, Einaudi, Torino 2010, p. 236 21Cfr. J.Lacan, "Una Questione preliminare", in Scritti, op. Cit. , p. 549 19
2) J. Lacan, "L’ aggressività in psicoanalisi" in Scritti, op. Cit. , p.110
3) J. Lacan, "Funzione e campo della parola e del linguaggio"(1953), in Scritti, op.cit..), p. 271
4) J.Lacan, "L’aggressività in psicoanalisi" in Scritti, op. cit. , p. 107-108
5) J. Lacan, "Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’Io", op. cit., p. 89
6)J. Lacan,” L’aggressività in psicoanalisi”, op. cit. p.118
7) J. Lacan, Seminario III Le psicosi, op. cit., p. 47-48 20 "tramato, catenato, tessuto di linguaggio"28.
Solo partendo da questa "identificazione primaria che struttura il soggetto come rivitalizzante con sé stesso"(3) è possibile comprendere l'aggressività dell'uomo che normalmente viene trascesa per mezzo di una identificazione secondaria a cui è stato dato il nome di "funzione di Edipo" che promuove la funzione pacificante dell'Ideale dell'Io. Già in Funzione e Campo Lacan sostiene che "è nel nome del padre che dobbiamo riconoscere il supporto della funzione simbolica e che dal sorgere dei tempi storici identifica la propria persona con la figura della legge"(4). Nome-del-Padre" da non confondere col padre reale la cui funzione simbolica veicola la legge attraverso la parola. L'aggressività riemerge in modo spesso eclatante nelle varie forme di regressione come nelle psicosi paranoica che manifestano in modo evidente che qualcosa non ha funzionato a livello edipico, qualcosa ha impedito il decentramento dell'asse narcisistico-speculare-rivalutato e l'introduzione di una dimensione terza, normativizzazione, pienamente simbolica e non più immaginaria. Lacan arriva a parlare di struttura paranoica dell'io(5) dal momento che l'identificazione è possibile solo assumendo l'immagine che lo specchio rimanda. L'identificazione all'immagine colloca l'io in una linea di finzione in quanto anticipa una unità che non corrisponde alla realtà del "corpo-in-frammenti"(6). L'immagine non potrà mai essere raggiunta, non c'è possibilità di riconciliazione dialettica degli opposti, vi è semmai la costituzione di una "lacerazione originale"(7) che segna il destino tragico dell'uomo al quale il narcisismo impone la struttura a tutti i suoi desideri spingendolo alla ricerca di un ideale che in realtà non gli è mai appartenuto. Ma se l'io è fondamentalmente paranoico Lacan mostra che è la struttura dell'Altro simbolico che consente un decentramento: "Questa base rivalitaria e concorrenziale a fondamento dell'oggetto è (...) ciò che è superato nella parola, in quanto essa interessa il terzo"(8). Quindi Lacan afferma che "l'inconscio è strutturato come un linguaggio”, Il soggetto dell'inconscio non è più il luogo della profondità, il contenitore dei significanti, ma è in superficie pur non essendo superficiale (nozione topologica), è l'effetto dell'entrata in campo dell'Altro. Il Seminario III si colloca nel momento in cui Lacan sta elaborando il passaggio dall'indagine delle leggi della parola all'indagine sulle leggi del linguaggio attraverso l'avvicinamento alla linguistica strutturalista e alla logica che gli forniscono gli strumenti per la sua analisi a partire dalle leggi della metafora e della metonimia. Lacan inverte l'ordine dato da De Saussure allo schema unificante del segno in un algoritmo che mette in evidenza la supremazia del significante cui il soggetto è sottoposto e attribuisce alla barra non una funzione unificante ma di divisione, di separazione che segnala la resistenza alla riunificazione. La distinzione tra significante e significato sarà di estrema utilità nell'analisi del fenomeno di linguaggio psicotici che potranno essere letti con grande precisione:" all'interno della psicosi tutto diventa segno, senso, ci è un arresto della catena significante, non vi è più rinvio da una significazione ad un'altra, ma la presenza di una significazione che non rinvia "a null'altro che a sé stessa" e l'imporsi di un significato che rinvia a "la significazione". Per lo psicotico nessuna anticipazione della significazione è sufficiente ad arrestare il senso che è così in eccesso da non potersi mai arrestare su una significazione che lascerebbe lo spazio per una possibile incertezza.
1) J. Lacan, Seminario III, Le psicosi, Einaudi, Torino 2010, p. 236 21Cfr. J.Lacan, "Una Questione preliminare", in Scritti, op. Cit. , p. 549 19
2) J. Lacan, "L’ aggressività in psicoanalisi" in Scritti, op. Cit. , p.110
3) J. Lacan, "Funzione e campo della parola e del linguaggio"(1953), in Scritti, op.cit..), p. 271
4) J.Lacan, "L’aggressività in psicoanalisi" in Scritti, op. cit. , p. 107-108
5) J. Lacan, "Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’Io", op. cit., p. 89
6)J. Lacan,” L’aggressività in psicoanalisi”, op. cit. p.118
7) J. Lacan, Seminario III Le psicosi, op. cit., p. 47-48 20 "tramato, catenato, tessuto di linguaggio"28.
Teoria del significante
Nel Seminario III Lacan ribadisce la sua avversione per ogni teoria caratterologica, organicista e psicologista della psicosi. Lacan trae da Kraepelin l'accento posto sui fenomeni elementari e sui disturbi (perplessità e diffondersi delle interpretazioni) che accompagnano la fase che precede la costruzione delirante. Assume un ruolo importante il riferimento a de Clérambault che viene lodato per il "valore clinico concreto" della sua opera pur non condividendone il meccanicismo. Riparte dalla concezione dell'automatismo mentale e dal carattere "anideico" dei fenomeni elementari che si manifestano innanzitutto per la loro incomprensibilità. Lacan estrae dall'anideismo l'aspetto strutturale: questi fenomeni di linguaggio che consistono in questo pensiero ripetuto, contraddetto, comandato sono da concepire come espressione del rapporto del soggetto col significante. Questo genere di fenomeni non costituiscono tanto il nucleo iniziale della psicosi quanto piuttosto la prima manifestazione della struttura che è sempre la stessa. Un'altra figura che continua ad essere al centro della riflessione di Lacan è Jaspers rispetto al quale prende ora un netto distacco, criticando le “relazioni di comprensione" (verstand) e operando un netto ribaltamento delle posizioni del "32 afferma che se la psicogenesi viene fatta coincidere con l'introduzione della relazione di comprensione allora "il grande segreto della psicoanalisi è che non c'è psicogenesi"(1). Lacan sviluppa qui una concezione originale a partire dal Discorso sulla causalità psichica del "46 con cui egli cerca di andare oltre il determinismo (organicista e psicogenetico) affermando una psicogenesi semantica per la quale la follia è una condizione che concerne la libertà umana come suo limite.(2) Lacan sostiene che "è falso immaginarsi che il senso di cui si tratta sia ciò che si comprende"(3). Nel delirio ad esempio c'è qualcosa che si impone al soggetto, un significato viene in primo piano, s'impone ed è per lui perfettamente comprensibile sebbene su un piano comprensivo, per chi osserva, ciò sia del tutto incomprensibile. La difficoltà di affrontare il problema della paranoia deriva precisamente dal fatto che “essa si situa appunto sul piano della comprensione". La comprensione non fornisce il senso dei fenomeni, esclude la dimensione simbolica, ponendosi su un piano meramente immaginario, empatico, quello delle identificazioni al nostro simile che non può essere sufficiente. Alla comprensione Lacan oppone qualcosa che rientra in un altro ordine, quello della spiegazione (erklärung) in cui si tratta di decifrare e interpretare. Per Lacan il senso non risiede nella comprensione, è qualcosa che varca questo asse e che necessita di un altro approccio, vale a dire la considerazione del simbolico. Il simbolico non può essere trascurato, mentre la comprensione tende ad escluderlo, considerando ciò che accade unicamente in termini di partecipazione speculare, di assimilazione rispetto a ciò che l'altro dice. La comprensione confonde, illude, non permette di penetrare nella struttura dei fenomeni, mentre la spiegazione, da non intendere come ricerca delle cause a livello meccanico "è il ricorso al significante come solo fondamento di ogni strutturazione scientifica". Questa presa di posizione sulla comprensione mostra come la psicosi vada affrontata tenendo conto del registro del simbolico, il solo che possa permettere di capire quale sia la posizione del soggetto nella struttura. Tra il registro dell'immaginario e del simbolico vi è quindi un'opposizione che Lacan rappresenta nello schema L, formalizzato per la prima volta nel Seminario II ma riproposto nel Seminario III. Vi sono due assi distinti che mettono in evidenza la radicale differenza fra discorso dell'inconscio e piano immaginario. Da una parte l'asse a-a', esse immaginario, che mette in relazione l'io (moi) (indicato con la a minuscola) con l'altro (a') inteso come simile, l'altro delle identificazioni immaginarie, speculari, l'altro simmetrico. Dall'altra parte l'asse S-A, che mette in reazione il soggetto dell'inconscio (Je) (indicato con S) con l'altro A, questo Altro simbolico che è ben diverso dall'altro delle identificazioni. Non si tratta del simile quanto piuttosto dell'Altro a partire dal quale si definisce il "muro del linguaggio"(4) muro che indica come la relazione simbolica non permetta mai di raggiungere questo Altro che invoco con la parola, luogo degli altri soggetti cui ci si rivolge, dei soggetti cui la parola mira, senza potersi identificare: "L'Altro è il luogo dove si costituisce colui che parla con colui che ascolta (...) L'Altro deve essere considerato anzitutto come luogo in cui la parola si costituisce”(5), Altro che deve essere riconosciuto ma non conosciuto dal momento che è talmente diverso dal soggetto che non lo si conosce mai pieno. Viene così in primo piano la differenza che sussiste tra la conoscenza paranoica, fondata sul rapporto dell'io con l'altro cui si identifica, già noto e conosciuto in quanto è il simile e la non-conoscenza che deve invece fondare il rapporto del soggetto con l'altro, solo riconosciuto ma non conosciuto. Proprio questo è il presupposto indispensabile per poter ricevere la propria parola in forma invertita: conoscenza e riconoscimento si collocano dunque su due piani nettamente distinti e solo in relazione a questo Altro sconosciuto si può parlare di parola piena, parola che riesce a varcare questo muro del linguaggio ed in cui l'Altro entra pienamente in gioco. In questo momento Lacan intende la relazione S-A come relazione intersoggettiva, in seguito egli metterà in evidenza il ruolo del linguaggio e della catena significante con tanto più vigore in quanto l'Altro è escluso. Per Lacan nella psicosi l'Altro c'è, come condizione essenziale per poterne parlare. Lo psicotico dà piena testimonianza di questo essere che gli parla e il problema è sapere quale è la struttura di quell'essere che gli parla. È necessario capire quale struttura ha questa parola del soggetto paranoico. Lo psicotico è "un martire dell'inconscio", martire nel senso di "testimone" di questo inconscio che come Freud insegna, nella psicosi appare a "cielo aperto", senza coperture o veli diversamente dalla nevrosi in cui appare in forma velata e mascherata. L'inconscio nella psicosi "è lì ma non funziona", è del tutto inerte, non è decifrabile né metaforizzabile, contiene un sapere già costituito e non un sapere da produrre, ed appare nel reale, ma appare come puro Es, inconscio non simbolizzato, Es "che parla" che è "brutalmente presente e riappare nel reale". Ciò che è escluso nella psicosi non è l'Altro in modo generico, l'Altro "abitato dal linguaggio" ma è l'Altro mediatore, è la funzione stabilizzante del Nome-del-Padre e la sua funzione "polarizzante" rispetto al mondo dei significanti.
1)Ibidem, p. 10
2) Cfr. Sergio Sabbatini, Lacan tra presenza e assenza, QDCJ n., Roma
3)Ibidem, p. 8
4) Cdr. J. Lacan, Seminario II, L'io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino 1991
5) J. Lacan, Sem. III, op. cit., pp. 323-324 23
1)Ibidem, p. 10
2) Cfr. Sergio Sabbatini, Lacan tra presenza e assenza, QDCJ n., Roma
3)Ibidem, p. 8
4) Cdr. J. Lacan, Seminario II, L'io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino 1991
5) J. Lacan, Sem. III, op. cit., pp. 323-324 23
Il Nome-del-Padre
Lacan nel Seminario III rilegge l'Edipo all'interno della concezione strutturale che ne mette in evidenza la valenza logica aldilà di qualsiasi riferimento in relazione agli accadimenti storici del soggetto. Lacan nel Sem III parla dell'Edipo come "legge della simbolizzazione", come una normatività che induce al superamento della "beanza della relazione immaginaria". Il complesso di Edipo è quindi la garanzia perché "ci sia realtà", "accesso sufficiente alla realtà", perché essa non sia quello che è nella psicosi. L'Edipo quindi si organizza intorno al Nome-del-Padre, che è una funzione logica irriducibile alla presenza del padre reale. Il Nome evidenzia l'eccedenza della funzione rispetto all' individuo reale, l'autonomia e l'indipendenza della funzione rispetto agli individui concreti. Il NdP fonda l'esercizio della funzione simbolica e veicola la Legge attraverso la parola, introduce l'ordine delle generazioni. Il Padre simbolico in quanto introduce questa Legge è il "Padre morto" o "ucciso" di Freud in Totem e Tabù (1913). Secondo Lacan solo a partire dall'uccisione del Padre si può fondare il patto sociale che ha come presupposto. A sottrazione di godimento all'unica persona che lo deteneva in modo assoluto. Freud "costruisce il mito dell'uccisione del padre" per spiegare la "presa" del "discorso della legge". Il Nome del Padre è il perno intorno al quale si organizza la stabilità del campo di significazione cioè "l'ordine dei significanti umani”. Lacan parla del NdP come esempio paradigmatico del punto di capitone, indicando proprio ciò che permette l'annodamento tra significante e significato e che nella psicosi è perlopiù assente presentandosi "in forma completamente divisa". Se il significante NdP non si inscrive nella struttura del soggetto realizzabili a livello simbolico la funzione paterna rimarrà circoscritta al piano immaginario, duale, nella totale esclusione della "dialettica triangolare". Inoltre il compimento dell'Edipo sottrae la sessualità al dominio immaginario permettendo l'accesso ad una sessualità "normale", "genitale”, “compiuta" che mentre la conclusione comporta l'assunzione di una "funzione sessualizzata" dell'immagine, il cui potere non delimitato e circoscritto cresce a dismisura. Il Nome del Padre interviene da una parte privando la madre del bambino assunto come oggetto fallico e contemporaneamente introducendo al bambino l'identificazione al fallo della madre. L'esercizio di questa funzione è possibile perché il padre si presenta come colui che ha il fallo, come il "portatore, il detentore del fallo". Inoltre il significante fallico situa il soggetto " nell'avere piuttosto che nell'essere" in quanto il bambino non può più essere fallo mentre è il padre ad avere il fallo. C'è qualcun altro che detiene l'oggetto del desiderio della madre e la madre non si chiude immaginariamente nel bambino. Si creano le condizioni perché il bambino possa vedere la madre come desiderate, come mancante, evento necessario perché la madre solo in quanto mancante, in quanto non avente il fallo si può volgere altrove, collocando in un altro luogo l'oggetto del suo desiderio e cessando di attribuire al bambino la posizione di fallo immaginario. Il desiderio materno interdetto risorge all'interno del registro simbolico dopo essere stato sottoposto ad una normativizzazione che lo dirige verso qualcosa che oltrepassa il bambino. Questa struttura non è tripartita bensì quadripartita (padre, fallo, madre, bambino) ed è il padre l'anello che fa tenere tutto insieme". Il bambino si trova a fare i conti con una Legge preesistente, con un ordine già costituito cui deve adeguarsi: "il soggetto trova il suo posto in un apparato simbolico preformato che instaura la legge nella sessualità. E questa legge non permette più al soggetto di realizzare la sessualità, se non sul piano simbolico determinando quella che Lacan chiama la "castrazione simbolica", come principio normativo grazie al quale una mancanza fondamentale viene ad iscriversi rendendo possibile il sorgere del desiderio, ad un tempo dell'Altro e del soggetto. A partire da ciò sarà possibile per il bambino identificarsi al padre e procedere alla costruzione dell'ideale dell'Io, punto di accordo tra Legge e Desiderio. La concezione strutturale dell'Edipo viene successivamente formalizzata da Lacan nella Questione preliminare attraverso la "metafora paterna"il cui schema è il seguente: Alla luce di questa formula della sostituzione metaforica constatiamo la sostituzione simbolica: il NdP prende esattamente il posto del DM che viene eluso. Allo stesso tempo il DM può riapparire al termine dell'operazione metaforica per essere pienamente incluso nel luogo dell'Altro e connesso alla significazione fallica. Laddove vi è forclusione del NdP nel luogo dell'Altro si scava "un buco nel campo del significante"(1) e questo buco "per carenza dell'effetto metaforico provocherà un buco corrispondente al posto della significazione fallica"
Sulla scia dell'insegnamento freudiano Lacan intende distinguere radicalmente i meccanismi che stanno alla base della nevrosi è della psicosi specificati rispettivamente attraverso i concetti di rimozione (Verdrangung) e di rigetto (Verwerfung), la cui "localizzazione soggettiva" è molto differente. Si tratta di due meccanismi che comportano conseguenze molto diverse: ciò che è rimosso ritorna nei sintomi, ciò che invece è Verhoeven, rigettato, respinto, abolito, come dice Lacan, forcluso, riappare nel reale. Freud ne Le neuropsicosi da difesa (1894) introduce il termine Verwift tentando di distinguere in maniera più chiara il meccanismo di difesa paranoico e scrive che esiste un tipo di difesa più energico ed efficace consistente nel fatto che l'Io respinge (verwift) la rappresentazione incompatibile unitamente al suo affetto e si comporta come se all'io “la rappresentazione non fosse mai pervenuta" Nelle Nuove osservazioni (1896) Freud nota qualcosa di singolare cioè che "la paziente per lo più avvertiva interiormente e allucinava i dati provenienti dall'inconscio sotto forma di voci". Nel corso dell'analisi del caso Schreber Freud rivisita radicalmente la sua teoria e ridimensiona la proiezione come meccanismo non esclusivo che si declina nella paranoia in modi diversi (delirio di gelosia, erotomania, persecuzione) che derivano sempre dalla negazione del desiderio omosessuale. A proposito di Schreber Freud osserva che in lui vi è un iniziale processo di "rimozione propriamente detta" che lo induce a distaccate la libido dalle cose precedentemente amate con conseguente visione catastrofica del mondo. Successivamente un "processo di guarigione" si impone "clamorosamente" riconducendo la libido, mediante proiezione, verso l'esterno. Freud si rende conto che il "ritorno dall'esterno" di qualcosa che era stato abolito (Das Aufgehoben) è cosa ben diversa del ritorno dall'interno della rimozione. Nel caso clinico L’uomo dei lupi (1914) nota l'esistenza di tre diverse correnti nel soggetto rispetto alla castrazione: 1) la corrente che aveva in orrore la castrazione, 2) quella che era disposta ad accettarla consolandosi con femminilità a titolo di surrogato, 3) la più antica e profonda, quella che si era limitata a respingere (Verworfen) l'evirazione, senza porsi neppure il problema di esprimere un giudizio circa la sua realtà che continuava a "restare virtualmente operante". Qui Freud ipotizza un meccanismo di rigetto basato sulla mancanza del giudizio di esistenza che è ben diverso dalla rimozione. Nel testo La perdita di realtà nelle nevrosi e nelle psicosi (1924) Freud afferma che nelle nevrosi vi sarebbe un tentativo di evitare la realtà mentre nelle psicosi vi è invece una sua ricostruzione. Un passaggio importante di Freud è nel saggio del La negazione (1925) in cui in relazione alla questione del giudizio affiorato nell'analisi dell'Uomo dei Lupi. Freud differenzia tra giudizio di attribuzione e giudizio di esistenza, contraddistinti da due tipi diversi di decisione. La rimozione 25 originaria segna dunque l'accesso al linguaggio, alla simbolizzazione ad una dimensione simbolizzata e simbolizzabile della realtà. Feud nel Compendi di psicoanalisi del 1938 ritorna sul concetto di scissione considerato come un meccanismo comune a psicosi e nevrosi: nella psicosi vi sarebbe sopraffazione della corrente che tiene conto della realtà rispetto a quella che non me tiene conto. Per Lacan nella psicosi c'è una mancanza a livello simbolico, un significante primordiale è rigettato (Verworfen), cosa che comporta una serie di conseguenza tra cui anche l'impossibilità della rimozione stessa. Lacan introduce il termine "forclusione" per tradurre la nozione di Verwerfung alla fine del Seminario III. La formalizzazione del concetto di forclusione è frutto dell'elaborazione di quello freudiano di "abolizione", utilizzato nel corso dell'analisi del caso Schreber e di quello di "rigetto" presente nel caso dell'Uomo dei Lupi, ma risente anche del contributo fornito da Jean Hyppolite nella sua rilettura della Verneinung di Freud. La prima dicotomia essenziale si pone a livello della Bejahung primitiva posta da Freud come il processo primario in cui si radica il giudizio di attribuzione. Ciò che è sottoposto alla Bejahung si trova ormai definitivamente incluso in un universo simbolico. Ciò che invece non è simbolizzato avrà un altro destino, tornerà nel reale al di là di ogni possibilità di simbolizzazione. La rimozione e la negazione sono meccanismi simbolici che possono aver luogo solo in base a qualcosa di affermato, di posto come esistente. Ben diverso è lo statuto della forclusione che indica ciò che si oppone alla Bejahung primaria e costituisce come tale ciò che è espulso. In luogo della Bejahung primordiale può avvenire, come testimonia l'analisi dell'Uomo dei Lupi, che "un soggetto rifiuti l'accesso, al suo mondo simbolico, di qualcosa che pure ha sperimentato, è che all'occasione non è altro che la minaccia di castrazione" La Verwerfung viene letta da Lacan non come semplice abolizione simbolica ma come processo ancora più radicale che indica che qualcosa viene a mancare proprio "nella prima introduzione ai significanti fondamentali". Questo mostra il nuovo senso della prospettiva strutturalista della riflessione di Lacan per la quale nevrosi e psicosi di fondano su due strutture diverse. Per Lacan il discorso sul significante primitivo ha "i caratteri del mito". I miti infatti "tendono a installare, a tenere in piedi l'uomo nel mondo Lacan sottolinea in questo modo quale sia il carattere da attribuire al significante primordiale sia il fatto che per l'uomo moderno l'ordine simbolico è costituito da significanti di base più inefficaci rispetto all'antichità'. Ciò non significa che nell'antichità non vi fosse la psicosi ma che questi stesso fenomeni erano possibili di assumere, con riferimento all'armatura mitica dell'ordine simbolico, una significazione sacra o comunque di tipo etico che è del tutto impossibile nel mondo moderno. È quindi necessario che il soggetto faccia "entrare nella sua storia" questo significante, occorre che il soggetto lo acquisisca, lo conquisti, “sia messo nei suoi confronti in un rapporto di implicazione che arrivi al suo essere". Richiamandosi ad Heidegger Lacan definisce i significanti i registri dell'essere. Solo grazie alla funzione polarizzata dei significanti di base può essere costituito il "campo dei significati “stessi. La forclusione indica che proprio nella psicosi c'è una mancanza, una "nullificazione del significante" che porta il soggetto e mettere in gioco tutto l'apparato di significazione e a tentare una compensazione di questo "spossessamento primitivo" attraverso una serie di identificazioni immaginarie. Uno degli strumenti di diagnosi della forclusione, aldilà dello scatenamento, è proprio attraverso la constatazione dei disturbi del linguaggio. La forclusione segna l'insuccesso dell'iscrizione di un significante primordiale, il significante del Nome-del-Padre, nel simbolico e questa mancanza segna la struttura del soggetto.(cfr. Schema I)
1) J. Lacan, “Una questione preliminare”, op. Cit., p. 560
Sulla scia dell'insegnamento freudiano Lacan intende distinguere radicalmente i meccanismi che stanno alla base della nevrosi è della psicosi specificati rispettivamente attraverso i concetti di rimozione (Verdrangung) e di rigetto (Verwerfung), la cui "localizzazione soggettiva" è molto differente. Si tratta di due meccanismi che comportano conseguenze molto diverse: ciò che è rimosso ritorna nei sintomi, ciò che invece è Verhoeven, rigettato, respinto, abolito, come dice Lacan, forcluso, riappare nel reale. Freud ne Le neuropsicosi da difesa (1894) introduce il termine Verwift tentando di distinguere in maniera più chiara il meccanismo di difesa paranoico e scrive che esiste un tipo di difesa più energico ed efficace consistente nel fatto che l'Io respinge (verwift) la rappresentazione incompatibile unitamente al suo affetto e si comporta come se all'io “la rappresentazione non fosse mai pervenuta" Nelle Nuove osservazioni (1896) Freud nota qualcosa di singolare cioè che "la paziente per lo più avvertiva interiormente e allucinava i dati provenienti dall'inconscio sotto forma di voci". Nel corso dell'analisi del caso Schreber Freud rivisita radicalmente la sua teoria e ridimensiona la proiezione come meccanismo non esclusivo che si declina nella paranoia in modi diversi (delirio di gelosia, erotomania, persecuzione) che derivano sempre dalla negazione del desiderio omosessuale. A proposito di Schreber Freud osserva che in lui vi è un iniziale processo di "rimozione propriamente detta" che lo induce a distaccate la libido dalle cose precedentemente amate con conseguente visione catastrofica del mondo. Successivamente un "processo di guarigione" si impone "clamorosamente" riconducendo la libido, mediante proiezione, verso l'esterno. Freud si rende conto che il "ritorno dall'esterno" di qualcosa che era stato abolito (Das Aufgehoben) è cosa ben diversa del ritorno dall'interno della rimozione. Nel caso clinico L’uomo dei lupi (1914) nota l'esistenza di tre diverse correnti nel soggetto rispetto alla castrazione: 1) la corrente che aveva in orrore la castrazione, 2) quella che era disposta ad accettarla consolandosi con femminilità a titolo di surrogato, 3) la più antica e profonda, quella che si era limitata a respingere (Verworfen) l'evirazione, senza porsi neppure il problema di esprimere un giudizio circa la sua realtà che continuava a "restare virtualmente operante". Qui Freud ipotizza un meccanismo di rigetto basato sulla mancanza del giudizio di esistenza che è ben diverso dalla rimozione. Nel testo La perdita di realtà nelle nevrosi e nelle psicosi (1924) Freud afferma che nelle nevrosi vi sarebbe un tentativo di evitare la realtà mentre nelle psicosi vi è invece una sua ricostruzione. Un passaggio importante di Freud è nel saggio del La negazione (1925) in cui in relazione alla questione del giudizio affiorato nell'analisi dell'Uomo dei Lupi. Freud differenzia tra giudizio di attribuzione e giudizio di esistenza, contraddistinti da due tipi diversi di decisione. La rimozione 25 originaria segna dunque l'accesso al linguaggio, alla simbolizzazione ad una dimensione simbolizzata e simbolizzabile della realtà. Feud nel Compendi di psicoanalisi del 1938 ritorna sul concetto di scissione considerato come un meccanismo comune a psicosi e nevrosi: nella psicosi vi sarebbe sopraffazione della corrente che tiene conto della realtà rispetto a quella che non me tiene conto. Per Lacan nella psicosi c'è una mancanza a livello simbolico, un significante primordiale è rigettato (Verworfen), cosa che comporta una serie di conseguenza tra cui anche l'impossibilità della rimozione stessa. Lacan introduce il termine "forclusione" per tradurre la nozione di Verwerfung alla fine del Seminario III. La formalizzazione del concetto di forclusione è frutto dell'elaborazione di quello freudiano di "abolizione", utilizzato nel corso dell'analisi del caso Schreber e di quello di "rigetto" presente nel caso dell'Uomo dei Lupi, ma risente anche del contributo fornito da Jean Hyppolite nella sua rilettura della Verneinung di Freud. La prima dicotomia essenziale si pone a livello della Bejahung primitiva posta da Freud come il processo primario in cui si radica il giudizio di attribuzione. Ciò che è sottoposto alla Bejahung si trova ormai definitivamente incluso in un universo simbolico. Ciò che invece non è simbolizzato avrà un altro destino, tornerà nel reale al di là di ogni possibilità di simbolizzazione. La rimozione e la negazione sono meccanismi simbolici che possono aver luogo solo in base a qualcosa di affermato, di posto come esistente. Ben diverso è lo statuto della forclusione che indica ciò che si oppone alla Bejahung primaria e costituisce come tale ciò che è espulso. In luogo della Bejahung primordiale può avvenire, come testimonia l'analisi dell'Uomo dei Lupi, che "un soggetto rifiuti l'accesso, al suo mondo simbolico, di qualcosa che pure ha sperimentato, è che all'occasione non è altro che la minaccia di castrazione" La Verwerfung viene letta da Lacan non come semplice abolizione simbolica ma come processo ancora più radicale che indica che qualcosa viene a mancare proprio "nella prima introduzione ai significanti fondamentali". Questo mostra il nuovo senso della prospettiva strutturalista della riflessione di Lacan per la quale nevrosi e psicosi di fondano su due strutture diverse. Per Lacan il discorso sul significante primitivo ha "i caratteri del mito". I miti infatti "tendono a installare, a tenere in piedi l'uomo nel mondo Lacan sottolinea in questo modo quale sia il carattere da attribuire al significante primordiale sia il fatto che per l'uomo moderno l'ordine simbolico è costituito da significanti di base più inefficaci rispetto all'antichità'. Ciò non significa che nell'antichità non vi fosse la psicosi ma che questi stesso fenomeni erano possibili di assumere, con riferimento all'armatura mitica dell'ordine simbolico, una significazione sacra o comunque di tipo etico che è del tutto impossibile nel mondo moderno. È quindi necessario che il soggetto faccia "entrare nella sua storia" questo significante, occorre che il soggetto lo acquisisca, lo conquisti, “sia messo nei suoi confronti in un rapporto di implicazione che arrivi al suo essere". Richiamandosi ad Heidegger Lacan definisce i significanti i registri dell'essere. Solo grazie alla funzione polarizzata dei significanti di base può essere costituito il "campo dei significati “stessi. La forclusione indica che proprio nella psicosi c'è una mancanza, una "nullificazione del significante" che porta il soggetto e mettere in gioco tutto l'apparato di significazione e a tentare una compensazione di questo "spossessamento primitivo" attraverso una serie di identificazioni immaginarie. Uno degli strumenti di diagnosi della forclusione, aldilà dello scatenamento, è proprio attraverso la constatazione dei disturbi del linguaggio. La forclusione segna l'insuccesso dell'iscrizione di un significante primordiale, il significante del Nome-del-Padre, nel simbolico e questa mancanza segna la struttura del soggetto.(cfr. Schema I)
1) J. Lacan, “Una questione preliminare”, op. Cit., p. 560
Clinica continuista
La definizione della paranoia “come identificante il godimento nel luogo dell’Altro come tale” è apparsa per la prima volta nel 1966 nella Presentation des Mémories du president Schreber diventando paradigmatica. Nella paranoia l’Altro gode. Un Altro pieno, non barrato, gode di un oggetto posto come oggetto del suo godimento. Fino ad allora Lacan aveva menzionato soltanto il godimento immaginario, ĺfinora era stato considerate soltanto in opposizione al Simbolico e all’Immaginario. A partire dagli anni “60, attraverso l’elaborazione della dimensione del Reale, la clinica lacaniana della psicosi non potrà più essere circoscritta al significante ma diventerà clinica dell’oggetto a. Il Seminario VII, l'Etica della psicoanalisi (1958-59), con l'introduzione della categoria del reale, segna una svolta decisiva che porterà a rileggere la struttura alla luce di una mancanza, di un vuoto che fa sì che non tutto dell'inconscio possa essere significantizzabile. Il Reale viene introdotto da Lacan a partire dal concetto di Das Ding, la Cosa, l'oggetto mitico del soddisfacimento primitivo, da sempre perduto e mai ritrovabile. La Cosa non è altro che il "vuoto al centro del reale", il vuoto si crea nel reale a partire dalla presa del significante, che segna la perdita irrimediabile della Cosa. La cancellazione di Das Ding ad opera del significante lascia un residuo di godimento-oggetto a che ha la funzione di causare il desiderio del soggetto. Nessun altro oggetto pulsionale è in grado di restituire la Cosa nella sua integrità, in quanto l'oggetto stesso è un vuoto di cui la "pulsione fa il giro"(1) L'oggetto a viene localizzato nelle zone erogene, zone marginali tra il dentro e il fuori del corpo indicate da Lacan attraverso i quattro orifizi bocca, ano, occhio, orecchio?). L'incidenza della struttura del linguaggio "lascia all'esterno e contiene la Cosa" della quale non si dà se non l'oggetto a. La presenza di questo punto non significantizzabile permette di oltrepassare in maniera radicale la possibilità di una fondazione ermeneutica della psicoanalisi per renderla invece una pratica in cui l'interpretazione mira a mettere a nudo il rapporto del soggetto con quel "cuore di non-senso". Questo oggetto a è la traccia del godimento, traccia che costituisce l'unica chiave di accesso del soggetto al godimento. È attraverso di esso che si introduce il godimento nella dimensione dell'essere del soggetto. L'oggetto a è quindi essenziale nel consentire al soggetto un inquadramento del campo della realtà, il quale si sostiene infatti proprio attraverso "l'estrazione dell'oggetto a" che gli fornisce il quadro. E perché questa estrazione abbia luogo è necessario che l'operazione di alienazione e di separazione abbia luogo. Occorre vi sia una metafora iniziale, una sostituzione del significante primo ad un significante secondo che permette lo scorrimento della catena significante. La separazione è invece la modalità attraverso cui il soggetto si rapporta alla propria perdita per poter "sé parere, generarsi da sé", entrare nell'ordine della rappresentazione. La separazione è ciò che determina la localizzazione degli oggetti pulsionali, la funzione si può esercitare solo in quanto siano estratti dall'Altro e messi a distanza dal soggetto. Se a questo livello simbolico della castrazione qualcosa non funziona, come avviene nella psicosi, l'oggetto rimane incluso nell'Altro, non vi è separazione, ed il soggetto invece di assumere il proprio desiderio diventa oggetto del godimento di un Altro pieno. Il corpo stesso è quindi per Lacan l'effetto della presa dell'Altro sull''organismo vivente. Se precedentemente il discorso sul corpo era stato affrontato a partire dell'immaginario e in un certo senso dal simbolico, dagli anni “60 44 in avanti si sviluppa intorno alla centralità del reale che è proprio ciò che permette di dare pieno valore a quella "sottrazione essenziale" che l'organismo patisce per poter diventare corpo. Ciò che viene sottratto è infatti proprio il godimento, che "è proibito a chi parla come tale" e cioè che "per chiunque è soggetto della Legge il godimento può essere solo detto tra le righe, perché la Legge trova fondamento in questa proibizione". La legge della castrazione impedisce al soggetto l'accesso ad un godimento totale ed impone l'"uccisione della Cosa". La castrazione si specifica quindi per la separazione che opera tra corpo e godimento. Separazione in cui "il desiderio viene dall'Altro è il godimento è dal lato della cosa", in cui il desiderio è nel luogo dell'Altro al posto del godimento sottratto è si può dire che svolga una funzione di protezione del soggetto dal godimento. Vi è tuttavia un godimento che è concesso all'essere parlante e che è reso possibile dall'azione del simbolico che lo ha in prima istanza barrato: il godimento fallico. A partire dal Seminario VII Lacan insistendo sull' incidenza del reale nella struttura, non fa altro che mettere in evidenza come in essa vi sia un punto di mancanza, qualcosa che non rientra nella significazione, che rende l'Altro carente e per ciò stesso barrato. Questa tesi va in una direzione esattamente opposta rispetto a quella tenuta da Lacan nel corso degli anni '50 dove prioritario era stato mostrare il primato dell'Altro, al di fuori di ogni messa in discussione della sua consistenza, e dove anzi la mancanza di un significante nell'Altro era stata la definizione dell'Altro nella psicosi, caratterizzata dalla forclusione. Ora invece un punto di vuoto fuori-significato diventa parte essenziale della struttura fino a costituire il cardine dell'annodamento dei tre registri, l'elemento che consente il loro aggancio, come il nodo borromeo attesta. Il simbolico buca il reale e contemporaneamente il buco è il sostegno del simbolico.
(1)J. Lacan, Seminario XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino, p. 189
(1)J. Lacan, Seminario XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino, p. 189
DAL SINTOMO AL SINTHOMO
L'Altro è dunque mancante, è caratterizzato dall'“incompletezza” e dall’ “inconsistenza”, ragione per cui Lacan vi pone una barra sopra e lo indica con (A). Il luogo dell'altro presenta all'interno un significante, il significante dell'A in quanto sbarrato S(/) che si differenzia da tutti gli altri e che rappresenta la condizione di rappresentabilità di tutti gli altri, ma che, non essendoci Altro dell'Altro, resta incluso al suo interno a rappresentare il suo difetto strutturale.(1) Questo significante fa sì che vi sia non un Altro dell'Altro bensì un “Altro nell'Altro”, un’alterità costitutiva che si può ben indicare con l'oggetto a. Questo percorso implica una radicale riconsiderazione del simbolico non più indagato a partire dalla struttura intessuta di significanti, quanto piuttosto dall'Uno, dal significante isolato che, nella sua disarticolazione, non si rivolge all'Altro, non veicola un messaggio che si indirizza all'Altro, bensì include del godimento. Lacan, negli anni “70, insistendo sul fatto che “C'è dell'Uno”(2) Questo passaggio dall'Altro all'Uno che esprime la necessità di procedere tenendo conto della priorità del reale e della funzione di godimento che l'S1 in quanto tale, come lettera più che come significante, esercita. La lettera non rappresenta il soggetto nella catena significante ma nella sua identità a sé stessa. In questo modo Lacan estrae dalla coppia significante S1-S2, il significante Uno, l'S1, il “significante-principale, padrone” che si può ricavare da ogni significante per costituire uno sciame di S1 che è ciò che costituisce lalingua, termine con il quale egli indica il simbolico in quanto separato dall'Altro, ripensato a partire dal reale. L'inconscio dice Lacan “è che l'essere, parlando, goda”: l'inconscio è dunque strutturato come un linguaggio, ma il linguaggio, riconsiderato a partire dall'uomo, altro non è se non “un apparato del godimento”, il modo attraverso cui nell'essere parlante il godimento si trova “apparecchiato” per essere tuttavia fruibile soltanto a partire dal suo “essere in sé stesso in difetto”, ossia da un punto di perdita, “il solo punto regolare attraverso cui [ne] abbiamo accesso”.(3) Indicare la mancanza strutturale di un significante nel luogo dell'Altro consente di parlare di “preclusione generalizzata” ma richiede che si pongano delle distinzioni fra questo tipo di buco e quello della forclusione propriamente detta. La rivisitazione della concezione dell'Altro ha delle conseguenze sulla funzione del Nome-del-Padre. Per il Lacan degli anni “50 l'Altro è completo e consistente e queste caratteristiche gli sono garantite dal Nome-del-Padre il quale, esercitando la sua funzione atipica rispetto agli altri significanti, custodisce e preserva il simbolico, introducendo una Legge a partire dalla quale il campo significante è definibile ed assicurato nella sua azione. Questo significante così inteso si pone quindi come l'Altro dell'Altro salvaguardandone la struttura. Ma in seguito, negli anni “60, giungendo alla convinzione dell’ineliminabile l'incompletezza dell'Altro, il Nome-del-Padre diventa proprio ciò che la garantisce. Il Nome-del-Padre diventa, da significante dell'Altro nell'Altro, il significante dell'Altro barrato, il significante che supplisce alla mancanza dell'Altro preservandola. Ciò è quello che non avviene nella psicosi dove l'Altro non è barrato e si presenta nella sua assolutezza, come un tutto pieno intriso di quel godimento che anziché divenire causa del desiderio del soggetto ristagna al suo interno. Nella Questione preliminare (rivista nel “66 da Lacan con una lunga nota 1) è molto chiaro che il Nome-del-Padre è incluso nell'Altro e che è il significante che stabilisce la legge dell'Altro, ma al contempo in questo stesso scritto, proprio nella formula della metafora paterna, il Nome-del-Padre è posto al di fuori dell'Altro, al suo fianco. Questa scrittura è certamente da intendere come modo per evidenziare la funzione del tutto eccezionale di questo significante “privilegiato” che diversamente dagli altri non rappresenta il soggetto ma si pone come condizione della rappresentabilità del soggetto nella catena significante. Dire che il Nome-del-Padre è il significante nell'Altro e dell'Altro e poi scriverlo fuori dall'Altro non può passare del tutto inosservato. Pare un curioso preludio rispetto alla funzione che in seguito sarà attribuita al Nome-del-Padre. Proprio nella scrittura della metafora paterna sembra esserci qualcosa nella direzione del Nome-del-Padre inteso come supplemento, come significante che affianca l'Altro restandone al di fuori e questo molto prima che la concezione del Nome-del-Padre come supplemento fosse da Lacan esplicitata attraverso la teoria dei nodi. Il Nome-del-Padre si pone quindi come operatore metaforico per eccellenza, punto di capitone che crea un legame tra significante e significato, annoda simbolico e immaginario, arresta lo scorrimento della significazione impedendo lo scivolamento indefinito. Pensare al Nome-del-Padre come al fattore che favorisce un annodamento tra reale, simbolico ed immaginario, non significa ripensare ad un fondamento ultimo, ad un Altro dell'Altro. Il Nome-del-Padre non è affatto il garante dell'Altro, quanto piuttosto ciò che permette ai tre registri di articolarsi nella radicale distinzione dei tre. Questa variazione dello statuto dell'Altro implica dunque delle forti risonanze sul Nome-del-Padre che viene a porsi come supplenza di una carenza dell'Altro, è via via relativizzato, perde l'unicità ed esclusività che lo avevano caratterizzato, al punto che Lacan arriva ad operante una pluralizzazione e a parlare dei Nomi-del-Padre (4). Questa progressiva relativizzazione è inoltre correlata alla duplice articolazione della teoria del Nome-del-Padre, ossia ad una distinzione tra la teoria del Padre e la teoria del Nome dove Lacan procede radicalizzando il fatto che il Nome-del-Padre è il nome di una funzione e per questa ragione può essere svolta da più di un significante. Pluralizzare il Nome-del-Padre non comporta una riduzione dei rischi di una mancanza di questa funzione. Questa pluralizzazione dei Nomi-del-Padre è il punto di avvio per la fondazione di una clinica delle supplenze, vale a dire per intraprendere un tipo di analisi che tenga conto anche delle varie modalità attraverso cui una struttura può reggere in assenza di uno dei possibili Nomi-del-Padre. Questa eventualità permette il dipanarsi della gamma delle varie supplenze. Il Nome-del-Padre è dunque innanzitutto un Nome, un Nome che incarna una funzione che è in prima istanza quella della nominazione. Il Nome-del-Padre è quindi il Nome Proprio, il sembiante per eccellenza che vela il punto vuoto, il punto di innesto del tratto unario del soggetto. Il nome proprio è anche il “nome del godimento” laddove però va tenuto presente che il godimento è fuori-simbolico, è sempre nella forma della sua sottrazione. La “funzione radicale” del Nome-del-Padre si esprime attraverso il “dare un Nome alle cose con tutte le conseguenze che questo comporta (...) fino a goderne particolarmente.”(6) Tutta la topologia sviluppata da Lacan a partire degli anni “60 sarà fondata sulla funzione centrale del punto vuoto nel cuore della struttura, come condizione imprescindibile della sua organizzazione. Sono i tre registri (simbolico, immaginario e reale) rappresenta di da tre anelli staccati e indipendenti a dare forma al “nodo borromeo”. Affinché la struttura del soggetto possa essere considerata equilibrata è necessario che questo tre registri distinti e separati devono annodarsi in modo che ciascuno possa esercitare la propria funzione non a discapito delle altre. Un mancato aggancio o un intreccio anomalo possono dare origine ad una struttura ad es. psicotica in cui c’è un simbolico difettoso, un reale che ritorna, un immaginario che dilaga. Il nodo Borromo è caratterizzato dalla relazione del tutto singolare che lega i tre registri che sono uniti al nodo in modo che i “due anelli non sono annodati l'uno con l'altro, e che è unicamente grazie al terzo che tengono insieme”. Ciò che rende il nodo propriamente Borromeo è un tipo particolare di legame per cui se si seziona uno qualunque degli anelli così ordinati, tutto gli altri risulteranno ipso facto liberi. Perché il nodo tenga e l'eterogeneità dei registri venga armonizzata in una catena “rigorosamente omogenea” in cui nessun elemento sia sproporzionato rispetto agli altri è necessaria la presenza di un elemento “quarto”, il padre che mostra in pieno il suo statuto di supplemento. Parlare di una metafora a partire dal nodo, ben dice come essa non sia il semplice esito di una concatenazione simbolica e che quindi, affinché il soggetto possa entrare nell'ordine metaforico, deve esservi un aggancio che tenga conto anche dell'immaginario e del reale, addomesticando il godimento del soggetto che rimane segnato pur sempre da un resto non simbolizzabile. Queste considerazioni spingono Lacan a porre una equivalenza tra Nome-del-Padre (e lo stesso complesso di Edipo) e il sintomo, quale modalità privilegiata attraverso cui il resto di godimento prende posto nella struttura. Il sintomo si pone analogamente al Nome-del-Padre come “il quarto anello”. Lacan sottolinea la valenza reale del sintomo “la cui anima è qualcosa di duro, dura come un osso”. Il sintomo come reale si pone più come lettera che come significante, come S1 disgiunto dagli effetti di senso.
Dal sintomo al sinthomo Negli ultimi anni del suo insegnamento Lacan ha introdotto il termine “sinthomo”, operando una rilettura del sintomo a partire dal suo possibile accostamento al fantasma del soggetto. L'intervento del Nome-del-Padre inteso come supplenza ossia riletto alla luce della forclusione generalizzata non è altro che il modo di far sorreggere una struttura che altrimenti sarebbe composta di pezzi staccati.53 Al tempo stesso l'azione del Nome-del-Padre come nominazione, decisamente simbolica, proprio in quanto supplementare, non è l'unica modalità per far reggere la struttura, essendo possibile che il nodo non si costituisca e sia sorretta attraverso una compensazione. Il sintomo com equivalenza al Nome-del-Padre è la modalità tipicamente nevrotica cui la struttura si organizza in rapporto alla forclusione generalizzata. Diversamente nel caso della psicosi alla forclusione strutturale si viene ad aggiungere una forclusione supplementare, quella del Nome-del-Padre di modo che la struttura non si fonda sulla supplenza operata da questo significante ma sul non legame tra i tre registri o su un tipo di nodo diverso da quello borromeo. L'aver radicalizzato la forclusione, non abolisce la necessità di una precisa clinica differenziale che viene al contrario ridefinito come una clinica delle supplenze. In questo senso la psicosi può essere definita come la struttura in cui manca Nome-del-Padre, quel significante che supplisce a questo buco strutturale e che è il “rispondente” alla mancanza di un significante nel luogo dell'Altro. Si può operare una distinzione fra la forclusione generalizzata e quella ristretta, tipicamente psicotica, coincidente con la non scrittura del significante del Nome-del-Padre. Nel suo ultimo insegnamento Lacan compie una decisiva inversione di prospettiva in quanto mostra di procedere dal reale, da quell'Uno che si trova nel cuore della struttura per definire la psicosi come puro sintomo, ponendo la nevrosi come la struttura regolata dal Nome-del-Padre. Lo schema I, pur essendo stato concepito in una fase precedente dell'elaborazione di Lacan, mostra come nella psicosi, in luogo di un punto essenziale per la tenuta del simbolico vi è un'assenza che si ripercuote su tutta la struttura che può essere visualizzata con la sostanziale non costituzione dei due ternari del Simbolico e dell'Immaginario venendo meno la cui costituzione i due registri vengono delimitati da due curve asintotiche. Ci troviamo di fronte ad un simbolico non normativizzato né normativizzante, dall'altro ad un immaginario che anziché essere sottoposto all'azione della significazione fallica resta in balia di una tensione che non modulata dalla funzione paterna si gioca ad un livello duale, indice della regressione topica allo stadio dello specchio. Proprio là dove Lacan, con lo schema I compie con il massimo rigore una visualizzazione della struttura psicotica intesa ancora in senso stretto come mancanza nel luogo dell'Altro, esattamente nello stesso schema introduce l'Ideale dell'Io come uno dei cardini del simbolico nella psicosi, come supplenza che va a colmare il buco mai colmato dal Nome-del-Padre. Introduce una funzione sostitutiva, qualcosa che opera in luogo della mancanza, che nel caso di Schreber non impedisce lo scatenamento ma consente il “processo di guarigione” della metafora delirante. Lacan negli anni “70 arriva ad intendere la struttura psicotica come “non annodamento” dei tre registri. Nella psicosi il Nome-del-Padre, quarto anello, supplemento indispensabile per l'equilibrio tra i registri non entra in gioco. La struttura psicotica, fondata sul fallimento del nodo borromeo, è priva di quel significante supplementare che si colloca nella faglia presente nel luogo dell'Altro. Dovrebbe risultare chiara la stretta interdipendenza che si instaura tra la mancata scrittura del Nome-del-Padre e la presenza di un Altro non preservato nella sua essenziale mancanza. Si può, a buona ragione, definire la psicosi come un rigetto dell'incompletezza dell'Altro, come un tentativo di eludere la dimensione della mancanza che risiede strutturalmente nel luogo dell'Altro.(7) In questo senso si comprende l'affermazione di Miller secondo cui “L'Altro non esiste tranne che nella psicosi” 55. Con la metafora delirante il soggetto cerca di sganciarsi dalla posizione di puro oggetto a dell'Altro per trovare una collocazione di soggetto in relazione all'Altro senza venir meno alla necessità di garantire all'Altro il godimento. Nel caso di Schreber questo passaggio è rinvenibile nel movimento che lo fa slittare dal suo essere scarto, rifiuto di Dio, all'essere la donna di Dio, la donna ideale di Dio. Questa rimessa in circolo del significante permette al soggetto di raggiungere una significazione che lo fa essere e dall'altro lo porta a una ricollocazione e localizzazione del godimento. Il delirio come forma di supplenza apporta una riparazione nel luogo di un difetto, ricuce una trama segnata da una faglia, e riporta ordine dove c'era uno sciame di significanti ed una invasione di godimento.
1) J. Lacan, Seminario XX, Ancora (1972-73), Einaudi, Torino 2011, p. 27
2) Ibidem, p. 64
3) J. Lacan, Seminario XVII, Il rovescio della psicoanalisi (1969-70), Einaudi, Torino 2001, p. 57
4) Cfr. J. Lacan, Dei Nomi-del-Padre-Il trionfo della religione (1963), Einaudi, Torino 2005
5) J. Lacan, RSI, lezione 11 Marzo 1975, inedito
6) J. Lacan, Seminario XX, Ancora, op. cit., p. 124
7) Cfr. J.A. Miller, Pezzi staccati, Astrolabio, Roma 2003