Etica del desiderio
.Il termine parafilia è stato introdotto dall’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) ed è stato coniato e adottato da psichiatri, psicologi e sessuologi, in sostituzione della vecchia dicitura di perversione sessuale.
La nozione di perversione risulta essere da sempre come tra le più complesse e dibattute questioni dell’intera psicopatologia, soprattutto in quanto risulta assai problematico svincolarsi completamente dall’assunzione di una presunta norma sessuale, culturalmente e socialmente condizionata e rapidamente variabile. Ad esempio, è sufficiente ricordare tutte le vicissitudini attraversate dall’omosessualità come categoria nosografica, sia descrittiva che eziologica, considerata da sempre come manifestazione di un comportamento sessuale deviante, e riabilitata dai manuali diagnostici come espressione di una sessualità normale solo in tempi estremamente recenti. Il termine di perversione si colloca in una continua e costante enigmaticità tra deviazione e sovversione della norma, tra incapacità di conformarsi e intenzionalità di volerne spostare i limiti consensualmente ammessi, tra malattia e fenomeno sociale e di costume innovatore, e per finire tra condotte disgiunte o contigue alla normalità affettiva ed erotica. La psicoanalisi ha prodotto la maggior parte delle riflessioni che riguardano la discussione scientifica sui comportamenti sessuali perversi, trasformandone lo statuto da vizio, devianza, indice di degenerazione o di costituzione morbosa, in una visione che valorizza in ogni comportamento perverso la componente fantasmatica e il significato di difesa, modificando così i propri assunti da una rappresentazione delle manovre perverse come difese dai derivati istintuali ad una che le riferisce al rapporto con l’oggetto del desiderio. DSM Nel DSM V (American Psychiatric Association) le parafilie sono definite come “fantasie, impulsi sessuali, o comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti sessualmente che in generale riguardano: 1) oggetti inanimati; 2) la sofferenza o l’umiliazione di se stessi o del partner, o 3) bambini o altre persone non consenzienti. Il comportamento, impulso o fantasia sessuale causa un disagio clinicamente significativo nell’area sociale, professionale o in altre importanti aree di funzionamento del soggetto”. Il termine perversione nel principale manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, nel tentativo di non essere giudicante, viene sostituito con quello di parafilie e suggerisce una definizione attuando la restrizione del termine alle situazioni sopracitate. Per considerare un continuum tra fantasia e azione, il DSM V ha elaborato uno spettro di gravità. Nelle forme tenui, la persona è turbata dalle proprie spinte sessuali non ordinarie, ma non le mette in atto. Nelle condizioni di gravità più moderata, la persona traduce la spinta in azione, ma solo occasionalmente. Nelle situazioni più gravi, la persona mette ripetutamente in atto la propria spinta parafiliaca. Il nuovo termine mette l’accento sul fatto che la deviazione (para) dipende dall’oggetto fonte di attrazione (filia). Chi la manifesta non è sostenuto da un desiderio sufficiente e non ha la capacità di investire in una direzione oggettuale definita. Altri hanno sostenuto che la modificazione del termine ufficiale da perversioni a parafilie è un tentativo fuorviante per “sanare” le perversioni Perversioni: letture psicodinamiche Nei Tre saggi sulla teoria sessuale (1905) le perversioni vengono viste da Freud come attività sessuali che vanno oltre le zone del corpo deputate all’unione sessuale, oppure che si limitano alle sole attività preliminari, forme di gratificazione che dovrebbero, al contrario, essere secondarie in un comportamento sessuale normale. Nevrosi e perversione hanno per Freud a che fare con il complesso edipico e stanno in relazione di reciprocità: la nevrosi è una formazione sintomatica di compromesso tesa ad inibire un impulso, la perversione invece è una fuga dalla nevrosi, una fuga dal complesso edipico e dall’angoscia di una punizione ad esso connessa, ed è tesa invece a consentire all’impulso il suo soddisfacimento caratterizzata dal meccanismo di difesa del Diniego o Verlungung. L’evoluzione della definizione di attività sessuale perversa mostra quanto la nosologia psichiatrica rifletta la società che la esprime. Nel contesto di una cultura sessuofobica, quale era l’età vittoriana, che considerava la normalità sessuale in termini piuttosto ristretti, Freud (1905) definì l’attività sessuale come perversa secondo diversi criteri: 1) essa è focalizzata su regioni del corpo non genitali; 2) anziché coesistere con l’abituale pratica di rapporti genitali con un partner dell’altro sesso, soppianta e sostituisce tale pratica; 3) tende ad essere la pratica sessuale esclusiva dell’individuo Dal primo scritto di Freud, gli atteggiamenti culturali relativi alla sessualità sono radicalmente cambiati. Dalla ricerca scientifica è emerso che le coppie solitamente hanno una varietà di comportamenti sessuali. I rapporti oro-genitali, ad esempio, sono ampiamente accettati, così come la penetrazione anale e l’omosessualità sono state rimosse definitivamente dalla lista delle attività perverse. Gli autori psicoanalisti hanno ripetutamente confermato l’osservazione di Freud, secondo cui in ciascuno di noi vi è un latente nucleo perverso. Molti clinici hanno messo in evidenza come fantasie perverse si riscontrano regolarmente in tutto il comportamento sessuale adulto, ma tendono a generare pochi problemi in quanto non vengono vissute come compulsive. E’ stato proposto di utilizzare il termine di neosessualità, per riflettere la natura innovativa della pratica e l’intenso investimento e coinvolgimento dell’individuo nel suo conseguimento. Stoller ha fatto appello a una definizione ristretta di attività sessuale. Riferendosi alla perversione come a una “forma erotica dell’odio”. Egli ha affermato che la crudeltà e il desiderio di umiliare e di degradare il partner sessuale, e anche se stessi, è la determinante cruciale per classificare un comportamento come perverso. Da questo punto di vista l’intenzione della persona è una variabile importante per definire la perversione. Successivamente, riconoscendo come nel normale eccitamento sessuale vi sia una nota di ostilità e di desiderio di umiliare l’Altro, ha sostenuto che l’intimità sia l’autentico fattore critico di differenziazione. Ne risulta così che un individuo è perverso solo quando l’atto erotico viene utilizzato per evitare una relazione a lungo termine, emotivamente intima, con un’altra persona. Il comportamento sessuale, invece, non è perverso, quando è a servizio della costituzione di una relazione intima e stabile. Rispetto all’eziologia, le parafilie restano tutt’oggi intrise di mistero. Nonostante certe ricerche abbiano messo in evidenza come i fattori biologici possano contribuire alla patogenesi delle parafilie, i dati sono assai discutibili e controversi. Pertanto, viene attribuita un’importanza primaria alle ragioni psicologiche che giocano un ruolo cruciale nel definire la scelta della perversione e il significato sottostante agli atti sessuali La visione classica delle perversioni attinge profondamente nella teoria pulsionale freudiana. Freud (1905) riteneva che questi disturbi illustrassero come l’istinto e l’oggetto, l’atto e la meta, siano separati l’uno dall’altro. In più, egli definì la perversione contrapponendola alla nevrosi. I sintomi nevrotici, infatti, secondo Freud rappresentano una trasformazione di fantasie perverse rimosse. Nelle perversioni tali fantasie diventano coscienti e vengono espresse direttamente come piacevoli attività egosintoniche. Pertanto, Freud descrisse le nevrosi come la negativa delle perversioni e i sintomi nevrotici li ricondusse a fantasie perverse desessualizzate dalle difese psichiche e fuori escluse dal campo della coscienza. Nella visione tradizionale, le perversioni possono essere fissazioni o regressioni a forme di sessualità infantile che persistono nella vita adulta (Fenichel; Sachs), e un atto perverso diviene una procedura fissa e ritualizzata, sola strada per il raggiungimento dell’orgasmo genitale. In questa concezione teorica del funzionamento psichico, il fattore decisivo che impedisce il raggiungimento dell’orgasmo attraverso il rapporto genitale convenzionale, è l’angoscia di castrazione legata alla conflittualità edipica. Le perversioni assolvono la funzione di negare la castrazione vissuta come punizione per il desiderio edipico, dando ragione del motivo per il quale la maggior parte dei “pazienti” affetti da parafilie sono maschi. Nel suo lavoro clinico Freud notò la complessità delle perversioni e osservò come qualunque perversione “attiva” fosse sempre accompagnata da una controparte “passiva”. Secondo questa formulazione, il sadico avrebbe un nucleo masochista, mentre il voyeur soffrirebbe di inconsci desideri esibizionistici. Molti ricercatori psicoanalitici in tempi più recenti hanno concluso che la sola teoria pulsionale è insufficiente a spiegare molte delle fantasie e dei comportamenti perversi e che per una lettura comprensiva gli aspetti relazionali siano fondamentali. Secondo Stoller, l’essenza della perversione è la conversione di un trauma infantile in un trionfo adulto. La persona è spinta dalla propria fantasia di vendicare umilianti traumi infantili causati dai propri genitori. Il metodo di vendetta di questi “pazienti” è quello di disumanizzare e umiliare il loro partner durante la fantasia o l’atto perverso. L’attività sessuale perversa può anche essere una fuga dalla relazione e dall’intimità. In questo caso, molte persone che esprimono una qualche parafilie si sentono separate e individuate in mondo incompleto dalle loro rappresentazioni intrapsichiche della madre. La conseguenza è che avvertono che la loro identità come persone autonome e separate, viene continuamente minacciata da una fusione o da un inglobamento con l’Altro sia interno che esterno. L’espressione sessuale può, dunque, diventare l’unica area nella quale riescono ad affermare la loro indipendenza (Mitchell; Gabbard). La perversione, quindi, può essere vista sia come espressione del desiderio di umiliare (Stoller) che come una sfida alla prepotente influenza della figura materna interna. Secondo Kohut, l’attività perversa comprende un tentativo disperato di ristabilire l’integrità e la coesione della propria identità in assenza di risposte empatiche da parte degli altri. L’attività o la fantasia sessuale può aiutare, secondo questo Autore, a sentirsi vivi e integri quando si è minacciati dall’abbandono o dalla separazione. Anche la McDougall, sebbene faccia riferimento ad un approccio psicoanalitico differente rispetto a quello di Kohut, ha notato come il nucleo centrale di molte attività perverse sia la paura di perdita dell’identità o del senso di Sé, suggerendo inoltre che il comportamento sessuale evolve da una complicata matrice di identificazioni e controidentificazioni con i genitori. Il giudizio clinico tradizionale ha sostenuto che le perversioni sono rare nelle donne. Questo punto di vista è mutato negli ultimi anni, come risultato della ricerca e dell’osservazione clinica che hanno messo in evidenza come le fantasie perverse siano di fatto comuni nelle donne. E’ stato rilevato che clinici non siano stati in grado di identificare le perversioni nelle donne poiché implicano delle dinamiche più sottili e complesse rispetto alla sessualità più prevedibile della controparte maschile. Delle attività sessuali che derivano dalle parafilie femminili fanno parte le tematiche della separazione, dell’abbandono e della perdita. Ad esempio, alcune donne che hanno subito da bambine delle violenze sessuali, adottano un modello di sessualità femminile esasperato nel tentativo di vendicarsi sugli uomini e di rassicurarsi sulla propria femminilità. Infine, la clinica tradizionale ha notato spesso come un ampio spettro di diagnosi psichiatriche e livelli di organizzazione di personalità possa essere presente in chi manifesti una sessualità non ordinaria. Perversioni sono state osservate, ad esempio, in pazienti psicotici, in quelli con disturbi di personalità così come in pazienti relativamente sani o nevrotici. La comprensione psicodinamica di un paziente coinvolto in un’attività perversa implica sempre una comprensione esauriente del modo in cui la perversione interagisce con la sottostante struttura caratteriale della persona. Pazienti nevrotici, ad esempio, possono utilizzare un’attività parafiliaca per facilitare la potenza genitale, mentre pazienti vicini al versante psicotico possono usare la medesima attività per difendersi da un senso di dissoluzione identitario. La logica perversa in Lacan Nella perversione esiste una logica che regola il rapporto del soggetto rispetto al godimento. Condizione indispensabile è che l’intersoggettività e qualsiasi significato relazionale siano annullati. La puntualizzazione di Lacan a proposito del tema della perversione, nella Questione preliminare è molto chiara: “Tutto il problema delle perversioni consiste nel concepire come il bambino, nella sua relazione con la madre (…) si identifichi all’oggetto immaginario di questo desiderio in quanto la madre stessa lo simbolizza nel fallo”. Si manifesta una predominanza della posizione materna nella perversione come nel caso del feticista, che si identifica immaginariamente con il fallo che manca alla madre e che non trova nel padre un impedimento a questa identificazione. Il padre mantiene un silenzio complice sul rapporto libidico che intercorre fra la madre ed il suo fallo-bambino. Il soggetto perverso è legato a quest’idea assoluta di godimento in cui la madre vuole per il proprio godimento l’annullamento del soggetto. Al soggetto non rimane che porsi come oggetto del godimento dell’Altro. La logica perversa è caratterizzata dall’idealizzazione della pulsione che permette al soggetto una riconciliazione con se stesso. Il soggetto non è più diviso, non ha più bisogno di relazionarsi all’altro, di trovare le modalità del suo assenso rapportandosi alla sua mancanza per agganciare il desiderio. La pulsione idealizzata distrugge il soggetto come luogo di desiderio. La perversione risulta così caratterizzata dalla eliminazione del soggetto e della relazione, condizioni indispensabili per rendere possibile il rapporto riuscito con il godimento. Il desiderio infatti rappresenta per il nevrotico una difesa dal godimento, per non raggiungere il godimento dell’Altro. Il sintomo e il fantasma sono i due mezzi che il nevrotico usa per opporsi al godimento fuori misura e per reprimerlo. Il perverso si pone nel luogo di a, di questo resto, e mira al godimento dell’Altro. Il perverso ha strutturato un rapporto molto particolare con il proprio fantasma, lo esibisce e lo usa come provocazione, vorrebbe arrivare a un “dire tutto senza che ci sia un resto”. Vorrebbe creare un soggetto in grado di trarre sempre piacere dal godimento eliminando la sofferenza. Nel fantasma sostanzialmente si nasconde quel desiderio che prevede l’annullamento della soggettività dell’Altro. Nella perversione si verifica il primato del fantasma sul sintomo che viene messo costantemente in scena. Lacan in Kant con Sade chiarisce il primato del fantasma sul sintomo, definendo il modo in cui il soggetto perverso si fa strumento del godimento dell’Altro e introduce inoltre il concetto di “volontà di godimento” di fronte ai limiti imposti dal desiderio. Freud aveva operato un rovesciamento rispetto alla tematica della perversione. Per lui non si trattava più di parlare di perversioni sessuali ma di sessualità perversa. La sessualità per Freud era un sintomo della civiltà che andava indagato. Nel corso della sua elaborazione teorica il tema della perversione è stato da lui considerato più volte, tanto che a un certo punto è risultato molto difficile riuscire a separare il meccanismo di funzionamento della perversione dalle altre strutture cliniche. Per Freud, infatti, le perversioni sono compatibili con le nevrosi, le psicosi e la perversione stessa. Alla relazione madre-bambino è stata attribuita grande importanza nella clinica della perversione sia nella teoria di Freud che di Lacan. Questo ha fatto sì che la clinica del padre sia stata ridimensionata e il padre sia diventato un sintomo. Lacan parla a questo proposito di sinthomo per indicare il fatto che esiste un reale che è refrattario al simbolico, un reale che si ripete determinando sofferenza nel corpo e nella mente del soggetto : “il godimento”. Attraverso l’esperienza clinica è possibile stabilire il rapporto che ogni soggetto intrattiene con il reale. Il sintomo perverso si presenta come un metodo di soddisfazione della pulsione libidica caratterizzato da una certa artificiosità per accedere al reale della soddisfazione e quindi al godimento. L’artificiosità appartiene alla stessa messa in scena del sintomo perverso che nel suo manifestarsi non può fare a meno di includere l’altro inteso come partner della relazione.
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