Etica del desiderio
Domenico Cosenza , nel suo saggio Il cibo e l'inconscio. Psicoanalisi e disturbi alimentati, Franco Angeli, Milano 2018, separa nettamente, ovvero strutturalmente
1) l’anoressia infantile, 2) l’anoressie e la bulimia che lui chiama nevrotico-isteriche, 3) l’anoressia che lui qualifica di vera, specifica soprattutto dell’adolescenza e per 9/10 femminile. Egli situa la terza piuttosto sul versante psicotico, ma non completamente. Se i disturbi alimentari “veri” fossero una forma psicotica, rientrerebbero in qualche modo in una griglia esplicativa classica. Ma non è questo il caso. L’anoressia infantile coglie indifferentemente maschi e femmine, mentre per le anoressie adulte la preponderanza femminile è schiacciante. È evidente che l’interesse maggiore deve concentrarsi sull’anoressia “vera”, in quanto quella isterico-nevrotica non è altro che un sintomo nevrotico che va trattato come ogni altro sintomo nevrotico. Cosenza dedica comunque anche un capitolo molto illuminante all’obesità, che distingue dalla bulimia. Ogni pretesa esplicativa dell’anoressia “vera” deve render conto evidentemente di due particolarità essenziali, e aggirarle significa fallire di fatto ogni spiegazione della sindrome: a. La specificità quasi totalmente femminile dell’anoressia (ma anche della bulimia), e il suo concentrarsi negli anni della pubertà e dell’adolescenza b. La specificità geo-economica, per chiamarla così, dell’anoressia vera: il fatto che essa prosperi nei paesi più industrializzati, in aree dove nessuno più soffre la fame. Anche nelle classi ricche dei paesi più poveri, non industrializzati, l’anoressia è rara. Cosenza non si sottrae all’appuntamento con la spiegazione di queste due specificità. L’”anoressia vera” come risulta dalle riflessioni dell’autore, costituisce una sfida alla psicoanalisi. Essa sembra sottrarsi sia alla teoria che alla clinica psicoanalitica, in quanto l’anoressia vera metterebbe in atto un vero rifiuto dell’inconscio. Nella terminologia lacaniana: l’anoressia non è un appello all’Altro, ma un rifiuto dell’Altro, dell’inconscio. Questo significa che l’anoressia non è veramente un sintomo, dato che il concetto di ‘sintomo’ è inscindibile dalle strutture nevrotica e psicotica che lo supportano: l’anoressia mentale non significa insomma qualcosa d’altro da sé, non è qualcosa da interpretare. Evitare il cibo non è una metafora. Alla via del sintomo l’anoressica vera preferisce la via del rifiuto radicale (del cibo). Il rifiuto anoressico è solo godimento reale, in quanto tale senza senso; un’esperienza di godimento orale. Ciò accosta l’anoressia alle tossicodipendenze, e alle dipendenze in genere (come dipendenza dal gioco o dal sesso) con cui costituisce quel che Cosenza, assieme ad altri psicoanalisti lacaniani, chiama Nuove Forme del Sintomo (NFS). L’interesse per le NFS è il segno di una crisi (che potrebbe essere di crescita) della psicoanalisi. In effetti, nelle NFS, scrive Cosenza, un individuo non si presenta diviso (come il nevrotico) e nemmeno frammentato (come lo psicotico) ma come indiviso, unificato. Rigidamente uno nel perseguire il suo godimento. Le NFS, anoressia vera compresa, chiuderebbero la divisione soggettiva. Potremmo dire che l’anoressica pratica una vita psichica anti-psicoanalitica. Ma l’ipotesi di un soggetto unificato, indiviso, è ciò che la psicoanalisi aveva escluso come possibile, non solo tra nevrotici e psicotici, ma tra tutti i soggetti umani. Si delinea qui un ripensamento della teoria psicoanalitica della soggettività. In effetti, le NFS metterebbero in atto un rifiuto dell’inconscio che è esso stesso inconscio, insomma, questo rifiuto è attività inconscia. Per la psicoanalisi, anche quando il rifiuto di qualcosa di vitale è esplicito, esso non può venire che dall’inconscio. Si coglie qui la paradossalità del discorso: le NFS sarebbero insomma rifiuti inconsci dell’inconscio, dato che il modo di aggirare l’inconscio è esso stesso un meccanismo inconscio. In effetti, la psicoanalisi spiega unicamente a partire dall’inconscio. Per esempio, Cosenza dice che nell’anoressia vera domina una legge superegoica assoluta senza desiderio: “mangia niente”. Il Super-io comanda alla ragazza l’estirpazione della spinta desiderante dal proprio corpo. Ma il Super-io in Lacan è una figura dell’Altro, insomma è sempre inconscio. Allora, l’anoressia è un paradossale rifiuto dell’inconscio nei confronti di sé stesso? È un auto-rifiuto dell’inconscio? Per Lacan l’anoressia è una forma di godimento. Anche se Lacan ha oscillato in relazione all’anoressia, un punto è fermo: l’anoressia (ripetiamo, quella ‘mentale’, ‘vera’) non è un non mangiare, ma è azione: è mangiare niente. È interessante che nel suo libro Cosenza non usi il termine niente ma il francese rien. Probabilmente questo è dovuto all’etimologia stessa del termine rien, che è l’accusativo del latino res, cosa. Quando in francese si dice “Je ne mange rien” è come se si dicesse “Io non mangio cosa”. Insomma, rien non è nulla, ma è un oggetto specifico, qualcosa. L’anoressica, mangiando rien o cosa, è una bulimica di niente; si fa scorpacciate di nulla. Se rien o niente è un oggetto, c’è da chiedersi che rapporto esso abbia con gli altri oggetti della classica teoria psicoanalitica delle pulsioni, che Lacan chiama oggetti a (che rapporto con l’oggetto seno, nella pulsione orale, con l’oggetto feci nella pulsione anale, con l’oggetto fallo). E con l’oggetto voce, nella pulsione vocante. on l’oggetto sguardo, nella pulsione scopica. Cosenza si pone la questione e conclude che l’oggetto rien non ha un corrispettivo in una zona erogena specifica, anche se nell’anoressia evidentemente l’oggetto rien è primariamente legato all’oralità. Il rien, oggetto che fa godere l’anoressica, è quindi un oggetto sui generis, in quanto è tutto in funzione del godimento. Il rien dell’anoressica è come la droga per il tossicodipendente, o come il gioco d’azzardo per il giocatore compulsivo: questi oggetti non suscitano il desiderio, che per Lacan viene sempre dall’Altro, ma ne chiudono lo spazio. Diverso è nelle anoressie come sintomi isterici, ad esempio. L’isterica può dire: “Se non mi ami, non mangio”, oppure “Se mi desideri come donna, non mangio”. Come si vede, sono delle interlocuzioni rivolte all’Altro. Ma l’anoressica vera non interloquisce con nessuno: gode e basta. Rifacendosi a Jacques-Alain Miller, Cosenza dice: “L’oggetto rien è il solo oggetto a che è causa di non-desiderio”. Il che è un paradosso, dato che il non-desiderio diventa qui un effetto, e non un non-effetto. E’ un oggetto di desiderio che cancella il desiderio… L’assenza di desiderio risulta insomma essere qualcosa che si produce, non uno stato neutro della psiche. Questa tesi potrebbe quasi essere presa come una smentita della teoria lacaniana, per la quale l’oggetto a è l’oggetto che causa il desiderio. Rien è invece un oggetto che sembra causare non desiderio, ma godimento. E in effetti Cosenza dirà che rien è un significante al posto del fallo, qualcosa quindi di distinto dall’oggetto. Un oggetto-significante, un centauro. Cosenza scriverà allora che l’anoressia, come abbuffata di niente, è godimento dell’Uno senza Altro. L’anoressica è una, è uni-ficata, manca di Altro. Potremmo andare persino oltre, e pensare che le NFS siano in realtà le forme più vecchie, ovvero quelle più fondamentali. In effetti, per Freud, è evidente, l’essere umano è una macchina per godere. Nevrosi, perversioni e psicosi non sarebbero allora le formazioni standard dell’inconscio, ma l’essenza di ogni nevrosi, psicosi o perversione sarebbe proprio nelle addictions, di cui l’anoressia vera fa parte: un modo di godere che aggira completamente l’Altro. Ovvero, in questa ottica, nevrosi, psicosi e perversioni sarebbero casi speciali, obliqui, di una più generale, più fondamentale, soggezione al comando di godere prima di ogni Altro. L’inconscio sarebbe una via lunga, intricata, per giungere comunque al godimento. L’anoressia vera, le dipendenze, sarebbero insomma la forma primaria, nuda, pre-inconscia, del puro esprimersi dello psichismo come teso sempre al godimento. Una ricerca del godimento che corto-circuita la pista simbolica.
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