La logica perversa e la costruzione del desiderio La perversione, secondo Lacan, non è una deviazione dal normale, ma una struttura del desiderio. Lacan afferma che "Il desiderio è il desiderio dell'Altro" (Écrits, 1966), sottolineando come il desiderio per il soggetto perverso sia sempre mediato dall’Altro. Questa nozione si intreccia con il concetto di godimento (jouissance), in cui, come dice Lacan, "Il godimento non si lascia soggiogare alla legge simbolica" (Le Séminaire, livre XX: Encore, 1972-1973). La perversione è, in questo senso, una modalità in cui il soggetto cerca di sottrarsi alla castrazione simbolica, mantenendo il godimento fuori dal dominio simbolico. Sade, in questo contesto, offre un esempio estremo di questa logica perversa. Il pensiero sadiano esprime un totale rifiuto dell'interdizione simbolica, della legge, e della castrazione, ponendo al centro l'esperienza immediata del godimento fisico, senza alcuna mediazione simbolica. In Kant con Sade, Lacan esplora il pensiero di Sade come una manifestazione di quella "logica perversa" in cui il godimento non è regolato né dalla legge né dal desiderio dell'Altro, ma diventa un godimento assoluto che schiaccia ogni possibile distinzione tra soggetto e oggetto. In Sade, il corpo e il godimento diventano la sola realtà, e l'Altro è ridotto a un oggetto da possedere e distruggere. L’aspetto sadiano si manifesta quindi come una negazione del desiderio simbolico, dove la relazione intersoggettiva è completamente sovvertita e il soggetto persegue il godimento attraverso l’annientamento dell’Altro. La relazione con l’Altro: il ruolo materno e la mancanza del padre Lacan definisce la funzione del padre come "l'interdizione del desiderio" (Écrits, 1966). Questo legame tra desiderio e interdizione è cruciale per comprendere la perversione: la mancata accettazione della castrazione simbolica fa sì che il perverso rimanga legato a un oggetto a che è, in un certo senso, inaccessibile al desiderio simbolico. La madre, in questo scenario, continua a essere l'oggetto del desiderio non interrotto, come se il perverso rifiutasse di affrontare la separazione che la legge paterna impone. Nel caso di Sade, questa logica di evasione dalla castrazione si esplica in un atto di dominio totale sull’Altro. Sade, infatti, elimina ogni potenziale mediazione simbolica, riducendo l'Altro a oggetto di godimento e distruzione, rifiutando l’interdizione paterna che Lacan descrive come fondamentale per la strutturazione del desiderio. L’Altro, nell’universo sadiano, non è più l'oggetto del desiderio, ma solo un oggetto da consumare, senza che vi sia spazio per il riconoscimento di una mancanza simbolica. Il soggetto perverso e la pulsione Nel Séminaire XI (1964), Lacan distingue la pulsione dal desiderio, indicando che "la pulsione è sempre in direzione dell'oggetto a" (Le Séminaire XI: Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse). La pulsione non ha una finalità, ma tende sempre verso un oggetto che resta irrimediabilmente perduto, condannando il soggetto a una ripetizione incessante. In questo senso, Miller sottolinea che "La perversione è una condizione in cui il soggetto rifiuta l'interruzione della ripetizione e resta legato a un godimento impossibile" (1996). In Sade, questa pulsione si esprime senza limiti, senza alcun tentativo di integrare la frustrazione che la separazione simbolica comporta. La ripetizione sadiana è un atto che schiaccia ogni possibilità di interruzione, impedendo al soggetto di confrontarsi con la mancanza. L'oggetto di godimento in Sade è sempre lo stesso, mai raggiungibile pienamente, ma sempre ri-evocato in un ciclo che non conosce fine. La perversione come strategia di difesa Lacan scrive che "la perversione è una difesa contro l'angoscia della castrazione" (Séminaire X: L'angoisse, 1962-1963). In effetti, la perversione è una strategia psichica che il soggetto adotta per evitare la frustrazione e l'angoscia che derivano dalla mancanza simbolica. Questo consente al perverso di mantenere un attaccamento al godimento, senza dover fare i conti con la separazione dal desiderio dell'Altro. Nel caso di Sade, il rifiuto dell'angoscia della castrazione diventa estremo e assoluto. Sade, infatti, incarna la perversione come una forma di difesa che annulla qualsiasi relazione simbolica e ogni possibilità di separazione dal godimento. Il soggetto sadiano non accetta la mancanza come condizione del desiderio, ma costruisce un mondo in cui il godimento e il dominio sono l'unica realtà, senza alcuna interruzione o limitazione. L’interpretazione lacaniana della perversione in contesti clinici Nel contesto clinico, Lacan afferma che "la perversione è una modalità di resistenza alla legge simbolica" (Le Séminaire, livre XX: Encore, 1972-1973). Questo significa che, attraverso la perversione, il soggetto evita di affrontare la castrazione simbolica, restando ancorato a un fantasma che gli permette di non dover fare i conti con la frustrazione della mancanza. La perversione, quindi, offre una protezione psicologica contro l’angoscia del vuoto simbolico, permettendo al soggetto di vivere in un mondo chiuso in cui il godimento non è mai interrotto. Sade, come figura paradigmatica della perversione, illustra come questo meccanismo di resistenza possa prendere la forma di un universo in cui la legge simbolica è abolita, e dove il soggetto si illude di poter perpetuare il godimento infinito. Il sadismo, in questo contesto, si configura come una modalità di esistenza in cui ogni barriera simbolica è distrutta, lasciando il soggetto nella solitudine assoluta del proprio godimento. Conclusioni In conclusione, come Lacan scrive nel Séminaire XI, "il perverso è colui che, in un certo senso, non vuole separarsi dal suo desiderio" (Le Séminaire XI: Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse, 1964). Il lavoro terapeutico, quindi, si propone di far prendere coscienza di questo legame e di aiutare il soggetto a confrontarsi con la propria mancanza simbolica, aprendo la via a una trasformazione del desiderio e del godimento. La riflessione su Sade in Lacan, inserita in questo quadro, dimostra come la perversione rappresenti una resistenza assoluta alla legge simbolica e una ricerca incessante di un godimento che non passa attraverso l’Altro né la separazione. Sade, dunque, non è solo una figura letteraria, ma un esempio radicale di ciò che Lacan definisce come la logica del perverso: un tentativo di sottrarsi al desiderio e alla castrazione, mantenendo il godimento in uno stato di perpetua ripetizione e negando ogni possibilità di interruzione simbolica.
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Secondo Lacan, la depressione, tanto nelle nevrosi quanto nelle psicosi, è profondamente legata al desiderio e alla sua mancata realizzazione. Tuttavia, mentre nelle nevrosi la depressione emerge come il risultato di un tradimento del desiderio o di una disconnessione dalla vocazione autentica del soggetto, nelle psicosi essa assume una forma ben più complessa e radicale, segnata da una frattura strutturale.
Il Tradimento del Desiderio nelle Nevrosi Lacan descrive la depressione come una sorta di viltà morale, dove l’individuo rinuncia a perseguire il proprio desiderio più autentico. Questo tradimento del desiderio genera un malessere profondo, un senso di insoddisfazione che, se non affrontato, può degenerare in depressione. La depressione nevrotica nasce, infatti, da una sfasatura tra il desiderio del soggetto e la realtà che lo circonda, una dissonanza che lo spinge a reprimere o ignorare la propria vocazione fondamentale. Questo tradimento di sé produce un senso di colpa profondo, che Lacan considera l'unico peccato giustificabile: il cedere sul proprio desiderio. La Depressioni nelle Psicosi: La Frattura con il Simbolico Nel caso delle psicosi, il quadro cambia radicalmente. In una psicosi, la depressione non è un semplice riflesso della mancata realizzazione del desiderio, ma è una conseguenza della frattura tra il soggetto e l'ordine simbolico. La psicosi implica una disconnessione profonda dal Simbolico, ovvero dalla dimensione linguistica e sociale che dà significato e orientamento alla vita psichica. Lacan ci dice che il soggetto psicotico vive una difficoltà radicale nel significare il proprio desiderio: la funzione del Nome-del-Padre, che organizza la realtà psichica, è compromessa, e di conseguenza il desiderio rimane senza una forma chiara o una via di realizzazione. La depressione psicotica, quindi, non è solo il risultato di un fallimento nel soddisfare un desiderio, ma una manifestazione di una perdita di senso profonda, un’esperienza di angoscia esistenziale derivante dalla mancanza di legame simbolico. Jouissance e Depressione Psicotica Lacan introduce il concetto di jouissance (godimento) per spiegare il paradosso che la depressione porta con sé: mentre nelle nevrosi il sintomo rappresenta un modo distorto di soddisfare il desiderio, nelle psicosi la depressione può essere vista come una forma di jouissance autolesionista, un godimento malato che affligge il soggetto e che il soggetto non riesce a dominare. Nelle psicosi, la depressione può quindi esprimere una impossibilità di localizzare il desiderio, che rimane frammentato e senza oggetto, creando una sensazione di vuoto esistenziale che non è riconducibile alla semplice sofferenza psichica, ma a una disorganizzazione profonda della psiche. Il Lutto nelle Psicosi: Impossibilità di Elaborazione Anche nelle psicosi, la depressione può essere associata alla dimensione del lutto, ma con una caratteristica unica: mentre nella nevrosi il soggetto è in grado di affrontare, più o meno consapevolmente, il proprio lutto e di ri-orientare il proprio desiderio verso altri oggetti significativi, nel caso della psicosi il lutto non viene mai veramente “elaborato”. La rottura simbolica con l’oggetto perduto è così radicale che il soggetto non può intraprendere un processo di elaborazione del lutto, rimanendo sospeso in un dolore senza fine. La depressione psicotica, quindi, non è solo il segno di un fallimento nell'affrontare una perdita, ma una sofferenza senza risoluzione, un dolore che non trova un significato simbolico e che rimane in stallo nella psiche del soggetto. Simbolico, Reale e la Depressione La depressione psicotica può essere vista anche come il risultato di una rottura tra il Simbolico (le leggi del linguaggio e della società) e il Reale (quello che non può essere simbolizzato, l’indicibile). La depressione emerge quando il soggetto si trova incapace di far corrispondere il proprio desiderio e la propria esistenza alle leggi simboliche che dovrebbero ordinarle. Questo diventa evidente quando il soggetto non riesce a collocare il proprio desiderio in un contesto comprensibile e non riesce a rendere simbolico il proprio vissuto, cadendo in una spirale di angoscia e disorientamento. Conclusione: La Terapia Lacaniana nella Depressione L’approccio lacaniano alla depressione, sia essa nevrotica che psicotica, si concentra sulla decodifica del sintomo come un tentativo di ripristinare il legame simbolico e di rispondere alla chiamata del desiderio. Se nella nevrosi il soggetto può sperimentare il sintomo come una distorsione del desiderio, nelle psicosi il sintomo diventa il segno di una frattura radicale nell’organizzazione psichica. La terapia psicoanalitica lacaniana, in entrambi i casi, ha lo scopo di aiutare il soggetto a riconoscere e affrontare le proprie contraddizioni inconsce, a recuperare il proprio desiderio e a ristabilire un ordine simbolico che dia significato alla propria esistenza. In ultima analisi, Lacan ci invita a guardare la depressione non solo come una malattia da trattare, ma come un messaggio profondo dell’inconscio che cerca di manifestarsi, e il lavoro terapeutico consiste nel cercare di interpretare e decodificare quel messaggio per permettere al soggetto di ritrovare la via del desiderio e della realizzazione del proprio essere. L’ansia e l'angoscia sono due concetti che, pur essendo strettamente legati nell’esperienza psichica, hanno sfumature distintive, specialmente nel contesto lacaniano. Entrambe sono reazioni emotive a una situazione di insicurezza o incertezza, ma il loro significato e la loro funzione sono molto differenti nella teoria psicoanalitica.
Ansia L'ansia è, secondo Lacan, legata a un rapporto con l'Altro e si manifesta principalmente come una paura anticipatoria o una preoccupazione per il futuro, in particolare per la perdita o la mancanza di riconoscimento. Essa emerge in relazione al desiderio di essere riconosciuti dall'Altro, ovvero da quelle figure che rappresentano la dimensione simbolica della legge, della cultura e delle aspettative. L'ansia nasce quando il soggetto teme di non essere in grado di soddisfare le aspettative di quest'Altro, o quando non riesce a gestire il suo desiderio in modo tale da evitare l’esclusione o la sanzione. L'ansia può anche essere considerata una manifestazione di conflitti interiori: l’individuo avverte una tensione tra il desiderio inconscio e le necessità simboliche che gli vengono imposte, spesso da una società o da relazioni significative. Lacan descrive questa ansia come un segnale dell’inconscio, una sorta di messaggio che il soggetto riceve quando una rottura avviene nella catena simbolica, cioè quando il linguaggio e le leggi del Simbolico entrano in crisi, mettendo in discussione il senso e il significato delle sue azioni e dei suoi desideri. Angoscia L’angoscia, invece, è una manifestazione più radicale e profonda della mancanza che caratterizza il soggetto umano. Per Lacan, l'angoscia non è legata a un oggetto concreto o a una situazione che si teme, ma è una risposta alla consapevolezza che l’essere stesso del soggetto è segnato dalla mancanza di un fondamento simbolico che possa colmare la sua esistenza. L’angoscia emerge quando il soggetto si trova di fronte a qualcosa che sfida la sua stessa esistenza simbolica. Lacan, infatti, afferma che "l'angoscia è il soggetto stesso di fronte al Reale". In altre parole, l'angoscia è la reazione del soggetto di fronte a ciò che non può essere simbolizzato e che sfugge a ogni forma di rappresentazione o comprensione. È la consapevolezza della propria incompletezza e della propria impossibilità di integrare completamente l’oggetto a (il piccolo oggetto del desiderio, sempre inaccessibile e irrappresentabile). Differenze tra Ansia e Angoscia
La Funzione dell'Angoscia L'angoscia, pur essendo uno stato emotivo estremo e doloroso, ha una funzione strutturante nel quadro lacaniano. Essa rivela il soggetto a se stesso, facendo emergere la consapevolezza della propria mancanza e, quindi, della propria condizione desiderante. Lacan, infatti, sostiene che "l'angoscia è il segnale che il soggetto è ancora vivo". Quando un soggetto sperimenta l'angoscia, sta affrontando la frattura ontologica che definisce la sua esistenza, ed è proprio attraverso l’angoscia che il soggetto si confronta con la sua condizione di essere mancante. Conclusione In sintesi, mentre l'ansia è un'esperienza che emerge dal conflitto tra desiderio e le leggi simboliche, l'angoscia rivela la mancanza fondamentale che segna l'essere stesso del soggetto. L'ansia è legata alla paura di non essere riconosciuti o di non riuscire a soddisfare le aspettative simboliche, mentre l'angoscia è una manifestazione della frattura più radicale che riguarda la condizione ontologica del soggetto, segnato da una mancanza che non può essere colmata. Il sintomo, nella prospettiva lacaniana, è un "significante" che esprime un conflitto inconscio, una via di accesso alla psiche profonda del soggetto. Non è da considerarsi come un semplice disturbo da eliminare, ma come un messaggio che il soggetto porta con sé, un segno che porta alla luce un aspetto del desiderio e della sua relazione con l'Altro. Lacan, tuttavia, va oltre la concezione tradizionale del sintomo, introducendo il concetto di sinthomo, un neologismo che egli utilizza per indicare una versione radicale e personale del sintomo.
Sintomo e Sinthomo Mentre il sintomo rappresenta un compromesso tra il desiderio e la Legge simbolica, il sinthomo è il modo in cui il soggetto, nella sua struttura psichica, si crea un "nuovo significante" per risolvere la sua sofferenza, ma senza rientrare nel quadro tradizionale delle nevrosi o delle psicosi. Lacan afferma che, a un certo punto, il soggetto può “fabbricare” un sinthomo, una soluzione unica e personale ai suoi conflitti psichici, che non appartiene né al linguaggio simbolico né al reale, ma si colloca a metà strada tra questi due domini. Questo concetto rappresenta una "creazione" psichica che non è legata ad un passato pregresso, ma che porta con sé una sorta di "invenzione" della propria struttura. Il sinthomo è legato alla singolarità del soggetto e non è condivisibile con altri. Esso è, per Lacan, la risposta del soggetto alla mancanza che la Legge simbolica impone, e costituisce una modalità con cui il soggetto riesce a "trattare" il suo inconscio, mantenendo una relazione con il godimento (jouissance). Questa costruzione è radicalmente unica, poiché ogni soggetto crea il proprio sinthomo come risposta alle proprie domande e tensioni interne. Sintomo e Linguaggio Lacan teorizza che "l'inconscio è strutturato come un linguaggio", e di conseguenza anche il sintomo (così come il sinthomo) può essere interpretato come un discorso che il soggetto articola senza esserne pienamente consapevole. Il sintomo è un significante che il soggetto "parla", ma che deve essere decodificato dal terapeuta. Ogni sintomo, e in particolar modo ogni sinthomo, è quindi un messaggio che va letto e interpretato: esso esprime il desiderio del soggetto, la sua difficoltà a confrontarsi con la Legge e, spesso, la sua ricerca di un godimento impossibile da raggiungere. Quando il soggetto arriva a costruire il sinthomo, lo fa per "gestire" questa tensione tra il desiderio e il reale, una tensione che non può essere risolta né simbolicamente né attraverso il pieno accesso al significante. Il sinthomo è quindi una risposta alla domanda inconscia che è personale e non universalizzabile, diversa da quella che potrebbe emergere nel contesto di una nevrosi o di una psicosi. Sintomo, Jouissance e Sinthomo Il concetto di jouissance (godimento) è centrale per comprendere il rapporto tra sintomo e sinthomo. Lacan vede il sintomo come una forma di godimento che il soggetto ottiene attraverso la sua sofferenza. Tuttavia, nel caso del sinthomo, il soggetto non si limita a una ripetizione passiva di un godimento doloroso, ma costruisce una forma di godimento che gli consente di "gestire" la sua sofferenza in modo unico. Il sinthomo, infatti, è una modalità che il soggetto crea per vivere con il proprio desiderio e per trovare una risposta alla mancanza che la Legge simbolica gli impone. Il sinthomo non è qualcosa che si subisce passivamente, come nel caso del sintomo nevrotico, ma una costruzione attiva del soggetto. Questo significa che, nella sua unicità, il sinthomo si presenta come una soluzione creativa e personale a una sofferenza che non può essere espressa attraverso i codici simbolici tradizionali. Esso rappresenta un modo del soggetto di abitare il proprio godimento, di vivere con la propria mancanza e di affrontare la tensione tra ciò che desidera e ciò che può ottenere. Decodifica del Sintomo e del Sinthomo La decodifica del sintomo e del sinthomo in terapia implica un lavoro di interpretazione attento e preciso, dove l’analista e il paziente collaborano per svelare i significati nascosti. Se il sintomo è visto come un messaggio che può essere interpretato, il sinthomo è invece una vera e propria "creazione" psichica che il soggetto ha messo in atto per dare un senso alla propria sofferenza. L’analista deve aiutare il paziente a "leggere" questo messaggio e a comprendere come il sinthomo sia, in qualche modo, una soluzione psichica al dilemma del desiderio e del godimento. Nel processo analitico, l’interpretazione si fa sempre più sottile, portando il paziente a prendere coscienza di come il proprio sinthomo sia legato al proprio modo unico di affrontare la sofferenza e il desiderio. Questa presa di coscienza permette al soggetto di fare un passo avanti nella comprensione di sé, di aprire nuove possibilità per il trattamento del proprio godimento e di confrontarsi con il proprio inconscio. ConclusioneIn sintesi, il sintomo lacaniano, arricchito dal concetto di sinthomo, non è mai un "problema" da eliminare, ma un significante che racconta una verità profonda e singolare del soggetto. Il sinthomo, come risposta creativa del soggetto alla sua sofferenza, è una forma di godimento che non si integra nel simbolico, ma che rappresenta un modo unico di abitare il desiderio e la mancanza. La decodifica del sintomo e del sinthomo attraverso l'analisi diventa, quindi, una via per aiutare il soggetto a comprendere la propria psiche e a trasformare la sua sofferenza in un’opportunità di crescita e di cambiamento. |