.Il termine parafilia è stato introdotto dall’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) ed è stato coniato e adottato da psichiatri, psicologi e sessuologi, in sostituzione della vecchia dicitura di perversione sessuale.
La nozione di perversione risulta essere da sempre come tra le più complesse e dibattute questioni dell’intera psicopatologia, soprattutto in quanto risulta assai problematico svincolarsi completamente dall’assunzione di una presunta norma sessuale, culturalmente e socialmente condizionata e rapidamente variabile. Ad esempio, è sufficiente ricordare tutte le vicissitudini attraversate dall’omosessualità come categoria nosografica, sia descrittiva che eziologica, considerata da sempre come manifestazione di un comportamento sessuale deviante, e riabilitata dai manuali diagnostici come espressione di una sessualità normale solo in tempi estremamente recenti. Il termine di perversione si colloca in una continua e costante enigmaticità tra deviazione e sovversione della norma, tra incapacità di conformarsi e intenzionalità di volerne spostare i limiti consensualmente ammessi, tra malattia e fenomeno sociale e di costume innovatore, e per finire tra condotte disgiunte o contigue alla normalità affettiva ed erotica. La psicoanalisi ha prodotto la maggior parte delle riflessioni che riguardano la discussione scientifica sui comportamenti sessuali perversi, trasformandone lo statuto da vizio, devianza, indice di degenerazione o di costituzione morbosa, in una visione che valorizza in ogni comportamento perverso la componente fantasmatica e il significato di difesa, modificando così i propri assunti da una rappresentazione delle manovre perverse come difese dai derivati istintuali ad una che le riferisce al rapporto con l’oggetto del desiderio. DSM Nel DSM V (American Psychiatric Association) le parafilie sono definite come “fantasie, impulsi sessuali, o comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti sessualmente che in generale riguardano: 1) oggetti inanimati; 2) la sofferenza o l’umiliazione di se stessi o del partner, o 3) bambini o altre persone non consenzienti. Il comportamento, impulso o fantasia sessuale causa un disagio clinicamente significativo nell’area sociale, professionale o in altre importanti aree di funzionamento del soggetto”. Il termine perversione nel principale manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, nel tentativo di non essere giudicante, viene sostituito con quello di parafilie e suggerisce una definizione attuando la restrizione del termine alle situazioni sopracitate. Per considerare un continuum tra fantasia e azione, il DSM V ha elaborato uno spettro di gravità. Nelle forme tenui, la persona è turbata dalle proprie spinte sessuali non ordinarie, ma non le mette in atto. Nelle condizioni di gravità più moderata, la persona traduce la spinta in azione, ma solo occasionalmente. Nelle situazioni più gravi, la persona mette ripetutamente in atto la propria spinta parafiliaca. Il nuovo termine mette l’accento sul fatto che la deviazione (para) dipende dall’oggetto fonte di attrazione (filia). Chi la manifesta non è sostenuto da un desiderio sufficiente e non ha la capacità di investire in una direzione oggettuale definita. Altri hanno sostenuto che la modificazione del termine ufficiale da perversioni a parafilie è un tentativo fuorviante per “sanare” le perversioni Perversioni: letture psicodinamiche Nei Tre saggi sulla teoria sessuale (1905) le perversioni vengono viste da Freud come attività sessuali che vanno oltre le zone del corpo deputate all’unione sessuale, oppure che si limitano alle sole attività preliminari, forme di gratificazione che dovrebbero, al contrario, essere secondarie in un comportamento sessuale normale. Nevrosi e perversione hanno per Freud a che fare con il complesso edipico e stanno in relazione di reciprocità: la nevrosi è una formazione sintomatica di compromesso tesa ad inibire un impulso, la perversione invece è una fuga dalla nevrosi, una fuga dal complesso edipico e dall’angoscia di una punizione ad esso connessa, ed è tesa invece a consentire all’impulso il suo soddisfacimento caratterizzata dal meccanismo di difesa del Diniego o Verlungung. L’evoluzione della definizione di attività sessuale perversa mostra quanto la nosologia psichiatrica rifletta la società che la esprime. Nel contesto di una cultura sessuofobica, quale era l’età vittoriana, che considerava la normalità sessuale in termini piuttosto ristretti, Freud (1905) definì l’attività sessuale come perversa secondo diversi criteri: 1) essa è focalizzata su regioni del corpo non genitali; 2) anziché coesistere con l’abituale pratica di rapporti genitali con un partner dell’altro sesso, soppianta e sostituisce tale pratica; 3) tende ad essere la pratica sessuale esclusiva dell’individuo Dal primo scritto di Freud, gli atteggiamenti culturali relativi alla sessualità sono radicalmente cambiati. Dalla ricerca scientifica è emerso che le coppie solitamente hanno una varietà di comportamenti sessuali. I rapporti oro-genitali, ad esempio, sono ampiamente accettati, così come la penetrazione anale e l’omosessualità sono state rimosse definitivamente dalla lista delle attività perverse. Gli autori psicoanalisti hanno ripetutamente confermato l’osservazione di Freud, secondo cui in ciascuno di noi vi è un latente nucleo perverso. Molti clinici hanno messo in evidenza come fantasie perverse si riscontrano regolarmente in tutto il comportamento sessuale adulto, ma tendono a generare pochi problemi in quanto non vengono vissute come compulsive. E’ stato proposto di utilizzare il termine di neosessualità, per riflettere la natura innovativa della pratica e l’intenso investimento e coinvolgimento dell’individuo nel suo conseguimento. Stoller ha fatto appello a una definizione ristretta di attività sessuale. Riferendosi alla perversione come a una “forma erotica dell’odio”. Egli ha affermato che la crudeltà e il desiderio di umiliare e di degradare il partner sessuale, e anche se stessi, è la determinante cruciale per classificare un comportamento come perverso. Da questo punto di vista l’intenzione della persona è una variabile importante per definire la perversione. Successivamente, riconoscendo come nel normale eccitamento sessuale vi sia una nota di ostilità e di desiderio di umiliare l’Altro, ha sostenuto che l’intimità sia l’autentico fattore critico di differenziazione. Ne risulta così che un individuo è perverso solo quando l’atto erotico viene utilizzato per evitare una relazione a lungo termine, emotivamente intima, con un’altra persona. Il comportamento sessuale, invece, non è perverso, quando è a servizio della costituzione di una relazione intima e stabile. Rispetto all’eziologia, le parafilie restano tutt’oggi intrise di mistero. Nonostante certe ricerche abbiano messo in evidenza come i fattori biologici possano contribuire alla patogenesi delle parafilie, i dati sono assai discutibili e controversi. Pertanto, viene attribuita un’importanza primaria alle ragioni psicologiche che giocano un ruolo cruciale nel definire la scelta della perversione e il significato sottostante agli atti sessuali La visione classica delle perversioni attinge profondamente nella teoria pulsionale freudiana. Freud (1905) riteneva che questi disturbi illustrassero come l’istinto e l’oggetto, l’atto e la meta, siano separati l’uno dall’altro. In più, egli definì la perversione contrapponendola alla nevrosi. I sintomi nevrotici, infatti, secondo Freud rappresentano una trasformazione di fantasie perverse rimosse. Nelle perversioni tali fantasie diventano coscienti e vengono espresse direttamente come piacevoli attività egosintoniche. Pertanto, Freud descrisse le nevrosi come la negativa delle perversioni e i sintomi nevrotici li ricondusse a fantasie perverse desessualizzate dalle difese psichiche e fuori escluse dal campo della coscienza. Nella visione tradizionale, le perversioni possono essere fissazioni o regressioni a forme di sessualità infantile che persistono nella vita adulta (Fenichel; Sachs), e un atto perverso diviene una procedura fissa e ritualizzata, sola strada per il raggiungimento dell’orgasmo genitale. In questa concezione teorica del funzionamento psichico, il fattore decisivo che impedisce il raggiungimento dell’orgasmo attraverso il rapporto genitale convenzionale, è l’angoscia di castrazione legata alla conflittualità edipica. Le perversioni assolvono la funzione di negare la castrazione vissuta come punizione per il desiderio edipico, dando ragione del motivo per il quale la maggior parte dei “pazienti” affetti da parafilie sono maschi. Nel suo lavoro clinico Freud notò la complessità delle perversioni e osservò come qualunque perversione “attiva” fosse sempre accompagnata da una controparte “passiva”. Secondo questa formulazione, il sadico avrebbe un nucleo masochista, mentre il voyeur soffrirebbe di inconsci desideri esibizionistici. Molti ricercatori psicoanalitici in tempi più recenti hanno concluso che la sola teoria pulsionale è insufficiente a spiegare molte delle fantasie e dei comportamenti perversi e che per una lettura comprensiva gli aspetti relazionali siano fondamentali. Secondo Stoller, l’essenza della perversione è la conversione di un trauma infantile in un trionfo adulto. La persona è spinta dalla propria fantasia di vendicare umilianti traumi infantili causati dai propri genitori. Il metodo di vendetta di questi “pazienti” è quello di disumanizzare e umiliare il loro partner durante la fantasia o l’atto perverso. L’attività sessuale perversa può anche essere una fuga dalla relazione e dall’intimità. In questo caso, molte persone che esprimono una qualche parafilie si sentono separate e individuate in mondo incompleto dalle loro rappresentazioni intrapsichiche della madre. La conseguenza è che avvertono che la loro identità come persone autonome e separate, viene continuamente minacciata da una fusione o da un inglobamento con l’Altro sia interno che esterno. L’espressione sessuale può, dunque, diventare l’unica area nella quale riescono ad affermare la loro indipendenza (Mitchell; Gabbard). La perversione, quindi, può essere vista sia come espressione del desiderio di umiliare (Stoller) che come una sfida alla prepotente influenza della figura materna interna. Secondo Kohut, l’attività perversa comprende un tentativo disperato di ristabilire l’integrità e la coesione della propria identità in assenza di risposte empatiche da parte degli altri. L’attività o la fantasia sessuale può aiutare, secondo questo Autore, a sentirsi vivi e integri quando si è minacciati dall’abbandono o dalla separazione. Anche la McDougall, sebbene faccia riferimento ad un approccio psicoanalitico differente rispetto a quello di Kohut, ha notato come il nucleo centrale di molte attività perverse sia la paura di perdita dell’identità o del senso di Sé, suggerendo inoltre che il comportamento sessuale evolve da una complicata matrice di identificazioni e controidentificazioni con i genitori. Il giudizio clinico tradizionale ha sostenuto che le perversioni sono rare nelle donne. Questo punto di vista è mutato negli ultimi anni, come risultato della ricerca e dell’osservazione clinica che hanno messo in evidenza come le fantasie perverse siano di fatto comuni nelle donne. E’ stato rilevato che clinici non siano stati in grado di identificare le perversioni nelle donne poiché implicano delle dinamiche più sottili e complesse rispetto alla sessualità più prevedibile della controparte maschile. Delle attività sessuali che derivano dalle parafilie femminili fanno parte le tematiche della separazione, dell’abbandono e della perdita. Ad esempio, alcune donne che hanno subito da bambine delle violenze sessuali, adottano un modello di sessualità femminile esasperato nel tentativo di vendicarsi sugli uomini e di rassicurarsi sulla propria femminilità. Infine, la clinica tradizionale ha notato spesso come un ampio spettro di diagnosi psichiatriche e livelli di organizzazione di personalità possa essere presente in chi manifesti una sessualità non ordinaria. Perversioni sono state osservate, ad esempio, in pazienti psicotici, in quelli con disturbi di personalità così come in pazienti relativamente sani o nevrotici. La comprensione psicodinamica di un paziente coinvolto in un’attività perversa implica sempre una comprensione esauriente del modo in cui la perversione interagisce con la sottostante struttura caratteriale della persona. Pazienti nevrotici, ad esempio, possono utilizzare un’attività parafiliaca per facilitare la potenza genitale, mentre pazienti vicini al versante psicotico possono usare la medesima attività per difendersi da un senso di dissoluzione identitario. La logica perversa in Lacan Nella perversione esiste una logica che regola il rapporto del soggetto rispetto al godimento. Condizione indispensabile è che l’intersoggettività e qualsiasi significato relazionale siano annullati. La puntualizzazione di Lacan a proposito del tema della perversione, nella Questione preliminare è molto chiara: “Tutto il problema delle perversioni consiste nel concepire come il bambino, nella sua relazione con la madre (…) si identifichi all’oggetto immaginario di questo desiderio in quanto la madre stessa lo simbolizza nel fallo”. Si manifesta una predominanza della posizione materna nella perversione come nel caso del feticista, che si identifica immaginariamente con il fallo che manca alla madre e che non trova nel padre un impedimento a questa identificazione. Il padre mantiene un silenzio complice sul rapporto libidico che intercorre fra la madre ed il suo fallo-bambino. Il soggetto perverso è legato a quest’idea assoluta di godimento in cui la madre vuole per il proprio godimento l’annullamento del soggetto. Al soggetto non rimane che porsi come oggetto del godimento dell’Altro. La logica perversa è caratterizzata dall’idealizzazione della pulsione che permette al soggetto una riconciliazione con se stesso. Il soggetto non è più diviso, non ha più bisogno di relazionarsi all’altro, di trovare le modalità del suo assenso rapportandosi alla sua mancanza per agganciare il desiderio. La pulsione idealizzata distrugge il soggetto come luogo di desiderio. La perversione risulta così caratterizzata dalla eliminazione del soggetto e della relazione, condizioni indispensabili per rendere possibile il rapporto riuscito con il godimento. Il desiderio infatti rappresenta per il nevrotico una difesa dal godimento, per non raggiungere il godimento dell’Altro. Il sintomo e il fantasma sono i due mezzi che il nevrotico usa per opporsi al godimento fuori misura e per reprimerlo. Il perverso si pone nel luogo di a, di questo resto, e mira al godimento dell’Altro. Il perverso ha strutturato un rapporto molto particolare con il proprio fantasma, lo esibisce e lo usa come provocazione, vorrebbe arrivare a un “dire tutto senza che ci sia un resto”. Vorrebbe creare un soggetto in grado di trarre sempre piacere dal godimento eliminando la sofferenza. Nel fantasma sostanzialmente si nasconde quel desiderio che prevede l’annullamento della soggettività dell’Altro. Nella perversione si verifica il primato del fantasma sul sintomo che viene messo costantemente in scena. Lacan in Kant con Sade chiarisce il primato del fantasma sul sintomo, definendo il modo in cui il soggetto perverso si fa strumento del godimento dell’Altro e introduce inoltre il concetto di “volontà di godimento” di fronte ai limiti imposti dal desiderio. Freud aveva operato un rovesciamento rispetto alla tematica della perversione. Per lui non si trattava più di parlare di perversioni sessuali ma di sessualità perversa. La sessualità per Freud era un sintomo della civiltà che andava indagato. Nel corso della sua elaborazione teorica il tema della perversione è stato da lui considerato più volte, tanto che a un certo punto è risultato molto difficile riuscire a separare il meccanismo di funzionamento della perversione dalle altre strutture cliniche. Per Freud, infatti, le perversioni sono compatibili con le nevrosi, le psicosi e la perversione stessa. Alla relazione madre-bambino è stata attribuita grande importanza nella clinica della perversione sia nella teoria di Freud che di Lacan. Questo ha fatto sì che la clinica del padre sia stata ridimensionata e il padre sia diventato un sintomo. Lacan parla a questo proposito di sinthomo per indicare il fatto che esiste un reale che è refrattario al simbolico, un reale che si ripete determinando sofferenza nel corpo e nella mente del soggetto : “il godimento”. Attraverso l’esperienza clinica è possibile stabilire il rapporto che ogni soggetto intrattiene con il reale. Il sintomo perverso si presenta come un metodo di soddisfazione della pulsione libidica caratterizzato da una certa artificiosità per accedere al reale della soddisfazione e quindi al godimento. L’artificiosità appartiene alla stessa messa in scena del sintomo perverso che nel suo manifestarsi non può fare a meno di includere l’altro inteso come partner della relazione.
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Freud in Lutto e Melanconia (1917) delinea le dinamiche intrapsichiche inconsce che determinano l’insorgenza della depressione, confrontandole con quelle che caratterizzano l’esperienza del lutto. Egli nota che il dolore del lutto permane per un certo tempo, almeno fino a quando il soggetto non è in grado di accettare realisticamente la perdita e di rivolgere la sua affettività ad altri oggetti, ad altre persone o cose, concrete o astratte che siano (questo processo è ciò che viene chiamato comunemente “elaborazione del lutto”) . In alcune persone il lavoro psichico del lutto si rivela impossibile: l’Io è pieno di colpa e senso d’ indegnità e s’instaura una depressione. Freud intuisce che ciò che appare come autoaccusa e senso di colpa in realtà è un rimprovero colpevolizzante diretto all’oggetto (interiorizzato) d’amore perduto, rimprovero che si ritorce sull’Io del soggetto che è inconsciamente identificato con l’oggetto. La manovra difensiva si rivela tuttavia perniciosa a causa dell’intensa ambivalenza che caratterizza la relazione oggettuale. L’oggetto perduto, con cui l’Io del soggetto s’identifica, fu tanto amato ma anche molto odiato, e quella ostilità che, insieme all’amore, inizialmente era orientata verso l’oggetto, ora investe quella parte dell’Io che si è identificata con esso: “l’ombra dell’oggetto ricade sull’Io”. Il carico di odio ritorna quindi sull’Io come autoaccusa e senso di colpa in un circolo vizioso che, in casi estremi, può portare al suicidio. Secondi Lacan, laddove qualcuno rinunci ad ascoltare la «chiamata del proprio desiderio», magari per realizzare la volontà di altri, «la vita si ammala».Se ci allontaniamo troppo dal nostro desiderio, se ci foriamo a fare cose che non riguardano la nostra vocazione, ci troviamo inevitabilmente prigioniero del sogno di un altro e questo fa ammalare la vita, perché essa si ammala quanto più diverge dalla nostra vocazione fondamentale.. Ed è proprio qui che entra in gioco il tentativo della terapia psicoanalitica di riconciliare il soggetto alla chiamata del suo desiderio. Secondo Lacan, tradire la propria vocazione è un atto di irresponsabilità, e la depressione che spesso ne deriva è un segno di viltà morale. La depressione-viltà di cui parla Lacan nasce da una sfasatura esistenziale rispetto alla realizzazione dei propri desideri fondamentali, e attinge quindi alla dimensione eminentemente psichica del nostro essere. Esiste tuttavia un punto in cui la visuale psichica converge con quella biomedica: ciò accade quando il dolore esistenziale si fa malattia biologica, e quando la depressione clinica non viene adeguatamente affrontata dal soggetto per il timore delle sfide di cambiamento che la guarigione, ogni guarigione, porta sempre con sé. «C’è un solo peccato, un solo senso di colpa giustificato: cedere, nel senso di indietreggiare, sul proprio desiderio». Non ci sono altri peccati: il senso di colpa più profondo, l’unico giustificabile è quello di tradire, venire meno, cedere sulla propria vocazione. Questo è imperdonabile, tutto il resto è perdonabile. Quando qualcuno rinuncia ad ascoltare la chiamata del proprio desiderio e intraprende altre vie facendo finta di niente – in psicanalisi questo si chiama “rimozione” –; quando qualcuno cancella la chiamata del desiderio e prende altre direzioni come se niente fosse, come se questa chiamata non ci fosse mai stata, lì la vita si ammala. Tanto più la vita si allontana dalla vocazione del desiderio, tanto più la vita produce sintomi. Ecco perché Lacan arrivava a un certo punto a dire: «La depressione – anche i padri della chiesa per certi aspetti dicono questo – è una viltà morale». E’ pesante dire questo. I depressi di solito provocano compassione e attenzione. Lacan dice al contrario che i depressi sono dei vili, che c’è una viltà nella depressione. C’è depressione, la vita si deprime quando si allontana dalla vocazione del desiderio; la depressione accompagna questo tradimento di sé. Secondo Jacques Lacan, la depressione è strettamente legata al desiderio e alla mancata realizzazione di questo. Ecco alcuni punti chiave: 1)Desiderio e vocazione: Lacan sosteneva che la depressione nasce quando un individuo tradisce la propria vocazione, ovvero il proprio desiderio più profondo e autentico. Questo tradimento può portare a un senso di insoddisfazione e disperazione. 2)Viltà morale: Lacan descriveva la depressione come una forma di viltà morale, dove l'individuo si arrende alla propria insoddisfazione e rinuncia a perseguire i propri desideri. Questo atteggiamento passivo e rinunciatario può alimentare la depressione. 3)Morte e lutto: Lacan collegava la depressione alla dimensione del lutto e della morte. La depressione può essere vista come una forma di mortificazione, dove l'individuo vive una "morte in vita", incapace di rilanciare il proprio desiderio 4)Simbolico e Reale: La depressione può emergere quando c'è una rottura tra il Simbolico (il linguaggio e i simboli) e il Reale (ciò che non può essere simbolizzato completamente). Questa disconnessione può causare un senso di disorientamento e depressione. 5)Analisi e interpretazione: La terapia lacaniana per la depressione si concentra sull'interpretazione dei sintomi come messaggi dell'inconscio che cercano di esprimersi. L'obiettivo è aiutare l'individuo a riconoscere e accettare le proprie ansie e contraddizioni interne, promuovendo una maggiore consapevolezza e accettazione del proprio desiderio e delle proprie contraddizioni. Questi concetti offrono una prospettiva unica e profonda sulla depressione, focalizzandosi sul desiderio e sulla mancata realizzazione di questo Al soggetto, in quanto “effetto del linguaggio” è interdetto il rapporto diretto con il godimento per effetto proprio del linguaggio. Il Godimento emerge nell’interdetto, fra le parole, fra il dire e il tacere. Anche per Lacan, come per Freud, il godimento è da inscrivere nella dinamica, psicologica, dell’incesto. Il nevrotico rifiuta la legge del desiderio, la legge che interdice l’incesto e si attacca a dei modi di godimenti che simulano il godimento pieno e originario, e dunque incestuoso. Il rifiuto della legge in psicoanalisi può essere interpretato come un rifiuto della “castrazione”.
Il soggetto deve riconoscere l’impossibilità del godimento pieno accontentandosi di quello residuale, che ci è proprio nell’esperienza del Desiderio e che porta ad un godimento “sano”. Ma l’etica di Lacan non è solo un’etica della rinuncia. In realtà la rinuncia al godimento incestuoso è funzionale solo all’incontro con il godimento proprio nell’esperienza del desiderio. Un’ etica della Legge dunque: la legge del Desiderio. Ma oltre l’interdetto del linguaggio c’è un Godimento altro, che surclassa l’interdizione del linguaggio. Lacan dice, riprendendo Freud, che anche la rinuncia a godere è Godimento che non può essere negativizzato. Spesso le donne confidano che se viene loro a mancare l’amore nulla ha più senso. L’amore può essere un nome per una donna: è l’amante e l’amata. Può rivestire la figura della borghese, di una madame Bovary che, sotto il simbolo della tecnica maschile, è lanciata verso l’ideale di un mondo nuovo e più veloce. Oppure essere una figura tragica come Medea che, folle innamorata, abbandonata uccide, oltre a se stessa, i figli avuti dall’uomo amato.
Ma fuori dai casi limite letterari o mitici, nella maggior parte dei casi, l’amore può funzionare come elemento stabilizzatore del suo rapporto col mondo, in quanto fa da bordo al godimento fuori senso, poiché le permette di mettere in atto una nominazione. Solo l’amore limita probabilmente l’illimitato del godimento non fallico e dà consistenza all’impossibile che la donna incarna, anche per se stessa. Jacques Lacan ha sviluppato una teoria complessa e affascinante del godimento femminile che si discosta notevolmente dalle concezioni tradizionali del godimento. In particolare, Lacan distingue tra due tipi di godimento: il godimento fallico e il godimento "altro" o supplementare, che riguarda specificamente il godimento femminile. Le due forme di Godimento
Lacan spesso paragona il godimento femminile all'esperienza dei mistici, coloro che vivono un'esperienza di unione con il divino che trascende il linguaggio e la rappresentazione. Questo parallelismo suggerisce che il godimento femminile è un tipo di esperienza che va oltre i confini dell'identità simbolica e che tocca una dimensione più profonda e ineffabile dell'essere. Il Non-Tutto Un concetto chiave nella teoria del godimento femminile è quello del "non-tutto" (pas-tout). Lacan usa questa espressione per descrivere come il godimento femminile non rientri completamente nell'ordine simbolico del fallo. Mentre il godimento fallico è tutto regolato dal fallo, il godimento femminile è "non-tutto", ossia è parzialmente al di fuori di questa regolazione simbolica. Questo lo rende enigmatico e in parte inaccessibile alla comprensione razionale. Implicazioni del Godimento Femminile per la Psicoanalisi
Il godimento femminile, nella teoria di Lacan, rappresenta una dimensione del desiderio che eccede le limitazioni della rappresentazione simbolica e fallica. Questo tipo di godimento è collegato a un'esperienza che trascende il linguaggio e che tocca una dimensione più profonda e ineffabile dell'essere. Comprendere e rispettare questa forma di godimento è essenziale nella pratica psicoanalitica, specialmente nel trattamento delle donne. :
L’ansia nasce da un rapporto insicuro con l’Altro, che può manifestarsi a contatto con un altro nel reale (un partner, un genitore, o chiunque sia in un contatto significativo con il soggetto). L’incertezza porta allora al bisogno di determinare anticipatamente tutti i passi di un processo, privando della possibilità di affidarsi alle proprie capacità. L’ansia di prestazione, in tutti i campi, da quello lavorativo a quello erotico, è l’esempio che oggi incontriamo con frequenza sempre maggiore, e che possiamo considerare come una sorta di paradigma. Sia la psicoanalisi in generale che l'orientamento lacaniano offrono spiegazioni uniche e profonde dei disturbi d'ansia. Psicoanalisi in Generale:
La riflessione psicoanalitica di Jacques Lacan ci offre una possibilità per approfondire la specificità dell’amore. L’esperienza del godimento è strutturalmente destinata a una perdita di soddisfacimento, poiché rappresenta la ricerca ripetitiva di una pienezza immaginaria che risulta impossibile.
Secondo la prospettiva psicoanalitica il rapporto sessuale rappresenta la ricerca di un’unione capace di completare e superare la distanza che separa il soggetto dal proprio “oggetto perduto”. Eppure l’essere umano non riuscirà mai a riappropriarsi di una pienezza che sembra rimandare a un’esperienza mitica di soddisfacimento. Da questo punto di vista il rapporto sessuale è destinato a fallire e a deludere l’attesa di ritrovamento dell’oggetto perduto. Sul piano della relazione sessuale non può avvenire la ricongiunzione del soggetto con quell’oggetto che darebbe la sensazione di fare Uno con l’Altro. È per tal motivo che in termini provocatori Lacan affermava che “non c’è rapporto sessuale” (Lacan, Il seminario, Libro XX, Ancora, p. 33). “Non esiste rapporto sessuale” vuol dire dunque che gli esseri umani, sul piano del godimento sessuale, rimangono reciprocamente in esilio: non c’è infatti un’esperienza del rapporto tra i due godimenti, poiché uno dei due rimane precluso, inaccessibile. E' il sintomo, o meglio la sofferenza causata dal sintomo, che spinge una persona a formulare una richiesta di aiuto. Il sintomo ha un aspetto multiforme: già Freud aveva posto l'attenzione sulle difficoltà incontrate nella vita amorosa e nell'ambito del lavoro.
Molti disagi riguardano la sfera dei rapporti in famiglia: per un genitore sostenere il proprio ruolo, per un figlio il suo inserimento nel nucleo familiare, per una donna e un uomo il rapporto di coppia. Il sintomo può presentarsi sotto diverse vesti: depressione, ansia, attacchi di panico, fobie, disturbi dell'umore, angoscia, rivelando al soggetto un senso di vuoto e un vuoto di senso. In rapido incremento sono i disturbi dell'alimentazione – obesità, anoressia e bulimia, non solo nelle persone di sesso femminile - così come le dipendenze, quali l’alcolismo, la tossicomania, la farmacodipendenza e, ultima arrivata, la videodipendenza. Il sintomo trova espressioni specifiche nel bambino, nell’ adolescente, nel giovane adulto. Per un bambino potrà manifestarsi attraverso problemi comportamentali e di apprendimento; per un ragazzo come interrogativi sui valori familiari e sociali e sulla propria identità sessuale, ma anche attraverso difficoltà incontrate negli studi, tali da creare veri e propri cortocircuiti nel progresso della formazione e dell'acquisizione dell'autonomia. Particolari condizioni sociali, come quella di immigrato e rifugiato, sono inoltre all’origine di disagio e sofferenza. Nella prospettiva lacaniana, il sintomo assume una connotazione complessa e affascinante, andando oltre la semplice manifestazione di un disturbo psichico. Lacan vede il sintomo come un segno, un significante che racchiude in sé una verità nascosta dell'inconscio e che va decodificato per comprendere il suo significato profondo. Funzione del Sintomo Il sintomo, secondo Lacan, non è solo un disturbo da eliminare, ma un messaggio da decifrare. È una formazione dell'inconscio che rivela qualcosa di importante sul soggetto, sulle sue relazioni e sui suoi desideri. Il sintomo rappresenta una compromesso tra il desiderio e la realtà, tra ciò che l'individuo vuole e ciò che può ottenere nel contesto sociale. Sintomo e Linguaggio Lacan sostiene che "l'inconscio è strutturato come un linguaggio", e quindi anche il sintomo può essere visto come un discorso, un testo che richiede un'interpretazione. Ogni sintomo è un significante che, una volta decodificato, può rivelare i conflitti e i desideri inconsci del soggetto. Questo processo di decodifica avviene attraverso l'analisi, dove il terapeuta e il paziente lavorano insieme per svelare il significato nascosto del sintomo. Sintomo e Struttura del Soggetto Il sintomo è profondamente legato alla struttura del soggetto. Nelle nevrosi, il sintomo può rappresentare un tentativo di mantenere un equilibrio tra il desiderio e la Legge simbolica, mentre nelle psicosi, può rivelare una rottura con il simbolico stesso. Per Lacan, il sintomo è una via d'accesso privilegiata per comprendere la struttura psichica del soggetto. Sintomo e Jouissance Un altro concetto chiave nella teoria lacaniana del sintomo è la jouissance (godimento). Lacan vede il sintomo come una forma di godimento che il soggetto ottiene attraverso il proprio soffrire. Questo godimento è ambivalente, poiché comporta sia piacere che dolore. Il sintomo diventa quindi un modo in cui il soggetto cerca di soddisfare il proprio desiderio in modo distorto, rivelando la complessità della psiche umana. Decodifica del Sintomo La decodifica del sintomo in terapia richiede un'attenzione particolare ai significanti utilizzati dal paziente. Attraverso la tecnica della libera associazione e l'interpretazione dei sogni, l'analista può aiutare il paziente a comprendere i significati nascosti dietro i suoi sintomi. Questo processo di decodifica è essenziale per permettere al soggetto di riconoscere e affrontare i propri desideri e conflitti inconsci. Conclusione Nella prospettiva lacaniana, il sintomo è molto più di un semplice disturbo: è un significante che porta con sé una verità nascosta dell'inconscio. Decodificare il sintomo attraverso l'analisi permette di rivelare i desideri e i conflitti profondi del soggetto, aprendo la strada a una maggiore comprensione di sé e a un potenziale cambiamento terapeutico. Lacan invita a vedere il sintomo non come un nemico da sconfiggere, ma come un messaggio da ascoltare e comprendere. |
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