La fobia, nell’ottica di Lacan, non è semplicemente un disturbo d’ansia o una reazione sproporzionata a un oggetto o situazione specifica, ma si presenta come una costruzione simbolica che svolge una funzione precisa nella soggettività. Lacan ne parla in particolare nel Seminario IV, dove la definisce come un meccanismo che permette al soggetto di orientarsi nel proprio rapporto con il reale, il simbolico e l’immaginario. La funzione della fobia In psicoanalisi, la fobia svolge il compito di legare l’angoscia, offrendo al soggetto una modalità di localizzazione del disagio psichico. L’oggetto fobico – che sia un animale, uno spazio o una situazione – funge da supporto simbolico quando la funzione del Nome-del-Padre è deficitaria o parzialmente vacillante. Questo oggetto consente al soggetto di delimitare l’angoscia, circoscrivendola in un campo specifico e lasciando relativamente intatti gli altri ambiti della vita quotidiana. Un esempio classico è il caso del Piccolo Hans descritto da Freud, dove il cavallo diventa l’oggetto su cui si concentra l’angoscia del bambino. Lacan interpreta questo fenomeno come una soluzione simbolica che supplisce all’assenza di un riferimento stabile nella funzione paterna. Attraverso la fobia, il bambino costruisce un nuovo ordine interno ed esterno, tracciando confini che organizzano il proprio rapporto con il mondo. Fobia e angoscia La fobia si distingue nettamente dall’angoscia pura. Mentre la fobia localizza e limita l’angoscia, l’angoscia pura è senza oggetto e si manifesta come una perturbazione non simbolizzata. Lacan considera l’angoscia come il segnale più prossimo al reale, quel registro che sfugge alla simbolizzazione e si presenta come una mancanza di significante. Nel caso del panico, questa assenza di oggetto diventa particolarmente evidente: il soggetto è travolto da una paura incontrollabile e diffusa, senza poterla attribuire a un elemento concreto. La fobia, al contrario, offre una via d’uscita: il soggetto può evitare l’oggetto fobico e, in questo modo, mantenere una certa stabilità psichica. Questo rende la fobia non solo un sintomo, ma una strategia di difesa che consente al soggetto di continuare a funzionare nel mondo, seppur con delle limitazioni. Il campo simbolico della fobia Nel Seminario IV, Lacan sottolinea come la fobia disegni un campo simbolico, un sistema di segni e soglie che organizzano l’esperienza del soggetto. Per esempio, la paura degli spazi aperti, come nell’agorafobia, non è solo una reazione irrazionale, ma una costruzione che delimita il mondo del soggetto tra un “interiore” rassicurante e un “esteriore” minaccioso. Questo processo permette al soggetto di mantenere una certa coerenza psichica, anche in presenza di conflitti simbolici o immaginari. La fobia, dunque, non è solo un disturbo da superare, ma una soluzione provvisoria che rivela il funzionamento del desiderio e del godimento nel soggetto. Attraverso l’oggetto fobico, il soggetto si confronta con il reale in una forma mediata, che permette di evitare un confronto diretto e potenzialmente devastante. Fobia e contemporaneità Nel contesto contemporaneo, caratterizzato da un indebolimento delle strutture simboliche tradizionali come la famiglia e l’ordine patriarcale, le fobie assumono nuove forme. Autori come Jacques-Alain Miller e Colette Soler hanno approfondito il ruolo delle fobie nella clinica contemporanea, interpretandole come risposte a una crisi generale del significante. Le fobie moderne, spesso legate alla tecnologia, al cambiamento climatico o a paure globali come le pandemie, rappresentano tentativi di tracciare nuovi confini simbolici in un mondo sempre più complesso e frammentato. Ad esempio, la paura di spazi virtuali o di fenomeni globali può essere vista come una risposta simbolica alla perdita di punti di riferimento stabili. La fobia diventa, in questo senso, una nuova modalità di organizzazione del rapporto del soggetto con il reale, un modo per gestire l’eccesso di informazioni e di stimoli che caratterizza l’epoca contemporanea. Conclusione La fobia, nell’orientamento lacaniano, non è solo un fenomeno patologico, ma una creazione simbolica che svolge una funzione strutturante nella vita del soggetto. Riconoscere il ruolo della fobia significa comprenderne la logica difensiva e simbolica, valorizzandone il potenziale di organizzazione psichica. Come strategia per affrontare l’angoscia, la fobia rappresenta una risorsa che, pur limitando il soggetto, gli consente di mantenere un equilibrio dinamico tra desiderio, godimento e realtà.
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Nell’orientamento lacaniano, quella che viene comunemente definita struttura ossessiva si configura come un modo peculiare di organizzare il rapporto con l'Altro e con il desiderio. Non si tratta di un semplice quadro sintomatico, ma di un intreccio dinamico tra desiderio, interdizione e ambivalenza nei confronti della Legge e del godimento.
Lacan e l'ossessivo: la condanna di Tantalo Per Lacan, il soggetto ossessivo vive un rapporto tormentato con il desiderio, che percepisce come interdetto. Questa interdizione, anziché essere assunta soggettivamente, viene attribuita all'Altro: una figura simbolica che rappresenta la Legge e il limite. La struttura ossessiva si costruisce attorno a un desiderio che il soggetto stesso contribuisce a sabotare, temendo ritorsioni dall’Altro o sentendo l'irriducibilità del desiderio rispetto alle sue stesse aspettative e ai vincoli della Legge. Lacan paragona l'ossessivo a Tantalo, condannato a sfiorare senza mai raggiungere l'oggetto desiderato. Questo movimento altalenante tra avvicinamento e ritrazione, tra il desiderio e il suo rifiuto, è una dinamica centrale nella struttura ossessiva. L’eccessiva vicinanza al desiderio provoca angoscia e obbliga il soggetto a una presa di distanza, congelando ogni slancio vitale in un’operazione di raffreddamento e rinuncia. Il rapporto con l'Altro e la Legge L’ossessivo mantiene vivo un rapporto ambivalente con l’Altro. Da una parte, idealizza la Legge, cercando di renderla assoluta, universale e priva di scarti. Dall’altra, ne percepisce il peso come insostenibile, arrivando a sabotarla o a distruggerla simbolicamente. Questa doppia posizione riflette il nodo fondamentale della struttura ossessiva: l'erotizzazione della Legge e il suo contemporaneo rifiuto. Il soggetto ossessivo non cerca soltanto il consenso dell'Altro, ma desidera essere riconosciuto come il suo oggetto prezioso, un essere insostituibile agli occhi di un’autorità simbolica che ama e odia. La richiesta di questo riconoscimento è ciò che spinge l’ossessivo a impegnarsi in compiti estenuanti, a costruire un’immagine di perfezione e a mantenere il controllo su ogni aspetto della propria vita. Tuttavia, dietro questa tensione si cela un desiderio inconfessabile: la distruzione dell’Altro stesso, che percepisce come rivale e ostacolo. Il desiderio ossessivo e la distruzione Il desiderio, nell’ossessivo, è sempre intriso di odio e di fantasmi di distruzione. Questa dinamica risale al rapporto con il padre, figura simbolica che, nel complesso edipico, incarna sia la Legge che l’ostacolo al desiderio nei confronti della madre. L’ossessivo si confronta con il desiderio dell’Altro – il padre come rivale – e lo lega a impulsi distruttivi, che finiscono per ritorcersi contro il proprio desiderio. Come sottolinea Lacan, "l'approccio dell'ossessivo al proprio desiderio rimane segnato da un marchio di distruzione", che lo porta a sabotare non solo i propri desideri, ma anche quelli altrui. Questo movimento autodistruttivo diventa un mezzo per mantenere la distanza dall’incandescenza del desiderio e preservare una forma di equilibrio, seppur precario, con l’Altro. Le compulsioni come rituali di pacificazione Le compulsioni, nella lettura lacaniana, possono essere paragonate a rituali religiosi che il soggetto ossessivo mette in atto per ottenere la benevolenza dell’Altro e placare l’angoscia provocata dal desiderio. Come evidenziava Freud, queste azioni rispecchiano il tentativo del soggetto di rimediare a fantasmi di colpa e di autodistruzione legati al complesso edipico. Lacan, però, evidenzia che tali rituali sono funzionali non tanto a risolvere l’angoscia quanto a mantenere intatta la struttura dell’Altro come garanzia simbolica. Il soggetto ossessivo si sottomette alla Legge e la trasforma in un sistema rigido e idealizzato, ma nel farlo rende impossibile qualsiasi rapporto autentico con il desiderio. La struttura ossessiva e il disagio contemporaneo Nel contesto contemporaneo, la struttura ossessiva può essere letta alla luce del declino della funzione paterna. Con la perdita di un Altro simbolico capace di incarnare la Legge e il limite, l’ossessivo si trova a cercare un nuovo punto di riferimento, spesso inventandosi delle regole assolute e compulsive per sopperire alla mancanza di un ordine simbolico stabile. Le compulsioni diventano così il tentativo di costruire un mondo privo di contraddizioni, in cui ogni elemento è rigidamente incasellato. Tuttavia, questo stesso ordine si rivela insostenibile, poiché esclude il desiderio e il caos della vita pulsionale, lasciando il soggetto intrappolato in un circuito senza via d’uscita. Conclusioni La struttura ossessiva, nella prospettiva lacaniana, non è solo un quadro clinico, ma un modo di organizzare il rapporto con l’Altro e con il desiderio. Il lavoro analitico sull’ossessivo richiede di sciogliere il legame tra desiderio e interdizione, permettendo al soggetto di riconoscere e affrontare l’ambivalenza verso la Legge e verso l’Altro. Solo così il soggetto può uscire dalla dinamica di sabotaggio e autodistruzione che caratterizza la sua posizione e aprirsi a un rapporto più autentico con il proprio desiderio. Nel pensiero lacaniano, l’esperienza del panico e il conseguente stato di paura si possono leggere come un effetto del declino della funzione paterna e della trasformazione del rapporto tra soggetto e Altro nella contemporaneità. Lacan definisce l’angoscia come un segnale che emerge quando viene meno la mediazione simbolica capace di tenere a distanza il reale, inteso come ciò che eccede il simbolico e l’immaginario. L’angoscia, dunque, è senza oggetto e si manifesta come un confronto diretto con il reale che minaccia il soggetto nella sua consistenza.
Nel panico, l’angoscia viene temporaneamente trasformata in paura, ovvero in un sentimento connesso a un oggetto o a una situazione specifica. Questo passaggio dalla condizione di angoscia senza nome a una paura determinata riflette il tentativo del soggetto di ridurre l’indeterminatezza del reale e di circoscriverlo in un ambito che possa essere controllato. Tuttavia, la paura, sebbene dotata di confini, non elimina l’angoscia, ma ne costituisce una difesa parziale, precaria e spesso fallimentare. Il panico e il corpo: la Hilflosigkeit freudiana in chiave lacaniana Il panico si manifesta come un momento in cui il corpo del soggetto si percepisce al di fuori di ogni rappresentazione simbolica, rendendosi vita pura, senza confini o controllo. Questo è ciò che Freud definisce Hilflosigkeit (impotenza), ovvero il senso di abbandono e travolgimento da parte di una forza vitale senza possibilità di mediazione. Lacan collega questa condizione al reale del corpo, che si presenta come un godimento intrusivo e fuori controllo. Nel momento del panico, le difese simboliche del soggetto collassano, rendendo impossibile qualsiasi rappresentazione del proprio vissuto. Il corpo diventa così il luogo di una vita che travolge, un’irruzione del reale che spezza il legame con il senso. Questo crollo rappresentativo è ciò che rende il panico una manifestazione clinica paradigmatica della contemporaneità, in cui il soggetto si trova esposto a un reale privo di ancoraggi simbolici. Panico e declino della funzione paterna Lacan descrive il declino della funzione paterna come uno degli effetti del cambiamento storico del legame sociale. La funzione paterna, legata al Nome-del-Padre, garantisce la mediazione simbolica attraverso la legge e l’interdizione, strutturando il desiderio del soggetto e ancorandolo al legame con l’Altro. Il tramonto di questa funzione, sostituita da un Altro frammentato e invischiante, lascia il soggetto privo di punti di riferimento stabili, esponendolo a un reale intrusivo e senza mediazione. Questo declino si riflette nella clinica contemporanea, in cui il panico emerge come una delle nuove forme del sintomo. In assenza di un’istanza simbolica forte che organizzi il desiderio, il soggetto si trova immerso in un rapporto diretto con il reale del godimento, che nel panico si manifesta come un’esperienza insostenibile. Dall’interdizione al godimento: l’imperativo contemporaneo J.-A. Miller sottolinea come il passaggio dal modello edipico al godimento contemporaneo rappresenti un cambiamento antropologico fondamentale. Nell’epoca di Freud, la legge dell’Altro si articolava attraverso l’interdizione, imponendo al soggetto la rinuncia a una parte del suo godimento per accedere al legame sociale. Questa dinamica di interdizione strutturava il desiderio, che si manifestava come un movimento verso l’oggetto impossibile da raggiungere pienamente. Nella contemporaneità, invece, l’interdizione ha lasciato il posto a un imperativo di godimento: il soggetto non è più invitato a desiderare, ma spinto a godere. Questo “anti-ideale” contemporaneo, cinico nella sua essenza, produce un soggetto frammentato, incapace di trovare un punto di ancoraggio simbolico. Il panico, in questo contesto, si configura come una risposta alla pressione insostenibile di un godimento che invade il corpo e la psiche, senza possibilità di elaborazione simbolica. La paura come tentativo di limitare il reale Nel disturbo di panico, la paura emerge come un tentativo di circoscrivere il reale attraverso l’identificazione di un oggetto che possa essere evitato o controllato. L’evitamento, comune nell’agorafobia e nella fobia sociale, rappresenta una strategia difensiva che cerca di trasformare l’angoscia informe in una paura definita. Tuttavia, questa strategia non elimina il reale, ma ne sposta semplicemente la manifestazione, lasciando il soggetto intrappolato tra il tempo dell’anticipazione e quello del rinvio. Conclusioni Il panico, letto attraverso l’orientamento lacaniano, rappresenta una forma estrema di disagio contemporaneo, in cui il soggetto si trova schiacciato tra il declino della funzione paterna e l’imperativo del godimento. La clinica del panico richiede dunque un lavoro che possa restituire al soggetto un rapporto simbolico con il proprio desiderio, permettendogli di riposizionarsi nel legame con l’Altro senza essere travolto dall’irruzione del reale. Disturbi alimentari nell'orientamento lacanianoI disturbi alimentari come anoressia, bulimia e binge eating sono analizzati nell’orientamento lacaniano come espressioni singolari del rapporto del soggetto con il desiderio, il godimento (jouissance) e l’Altro. Seguendo l’insegnamento di Jacques Lacan e gli sviluppi successivi di autori come Jacques-Alain Miller, Colette Soler e Antonio Di Ciaccia, il sintomo alimentare viene interpretato non solo come una risposta alla mancanza strutturale dell’essere umano, ma anche come una testimonianza della relazione del soggetto con il reale.
Anoressia: il rifiuto radicale del desiderio dell’Altro L’anoressia rappresenta una posizione soggettiva che radicalizza il rapporto con il desiderio dell’Altro e con il godimento. Lacan, nel seminario Le strutture freudiane del campo dell'Altro, definisce l’anoressia come un rifiuto del desiderio dell’Altro attraverso il rifiuto del cibo, il quale diventa il significante principale di questa negazione. Jacques-Alain Miller approfondisce questa lettura, sottolineando che l’anoressia è una risposta alla mancanza strutturale che caratterizza il soggetto. Il rifiuto del cibo si collega al tentativo di sottrarsi alla domanda dell’Altro, ponendosi in una posizione di autonomia assoluta. -Oggetto niente: L’anoressico non si relaziona a un oggetto di godimento, ma sceglie il "niente" come oggetto. Come osserva Antonio Di Ciaccia, questo rifiuto non è solo un rifiuto dell’Altro, ma una radicalizzazione del rapporto con il reale del godimento. -Un'etica del rifiuto: Colette Soler interpreta l’anoressia come una forma estrema di posizionamento etico rispetto al godimento, in cui il soggetto si oppone a qualsiasi forma di compromesso simbolico con l’Altro. Bulimia: il ciclo di godimento e colpaLa bulimia, nell’orientamento lacaniano, è letta come una manifestazione del rapporto ambivalente con il godimento. Il soggetto bulimico si trova intrappolato in un ciclo di soddisfazione pulsionale e senso di colpa. -Godimento illimitato: Secondo Jacques-Alain Miller, il bulimico cerca nel cibo un godimento immediato e senza limite, un tentativo di colmare il vuoto strutturale che caratterizza il soggetto. Tuttavia, questa ricerca compulsiva è seguita dalla colpa, che riconduce il soggetto alla dimensione simbolica. -La ripetizione: La bulimia si inserisce nel circuito della ripetizione freudiana, dove il soggetto cerca incessantemente un soddisfacimento che non può essere raggiunto. Questo aspetto è stato ripreso anche da Colette Soler, che interpreta il ciclo bulimico come una risposta sintomatica all’impossibilità del godimento pieno. Binge Eating: il reale del godimento Il binge eating, o alimentazione compulsiva, si colloca nel registro del reale, in cui il soggetto si confronta con un godimento puro, privo di mediazione simbolica. -L’assenza di limite: Jacques-Alain Miller descrive il binge eating come una manifestazione del godimento sregolato che emerge quando il soggetto non riesce a simbolizzare la mancanza. Il cibo diventa allora un oggetto pulsionale, non legato al desiderio, ma alla pulsione di morte. -Corpo reale: Come evidenziato da Antonio Di Ciaccia, il binge eating si manifesta come un attacco al corpo, che non è più vissuto come luogo del desiderio, ma come spazio del godimento incontrollato. Anoressia vera e non vera Nel dibattito lacaniano non esiste una distinzione canonica tra "anoressia vera" e "anoressia non vera", ma alcuni autori, come Miller e Soler, hanno evidenziato la necessità di distinguere tra diverse modalità con cui il rifiuto del cibo si articola nel discorso del soggetto: -Anoressia strutturale: Una posizione soggettiva in cui il rifiuto del cibo rappresenta una radicalità assoluta rispetto al desiderio dell’Altro. Questo tipo di anoressia è radicato nel rapporto del soggetto con il reale e il godimento. -Anoressia sintomatica: Forme di anoressia legate a dinamiche simboliche o immaginarie, come il tentativo di rispondere a un ideale sociale o di affermare un’identità attraverso il controllo del corpo. In questo caso, il sintomo è decifrabile all’interno del discorso del soggetto. . Il corpo e il godimentoIn tutti i disturbi alimentari, il corpo è al centro della scena, interpretato come il luogo in cui si manifesta il rapporto del soggetto con il godimento: -Corpo immaginario: Secondo Colette Soler, il corpo può essere vissuto come un oggetto da modellare o controllare, spesso in risposta alle pressioni sociali o alla domanda dell’Altro. -Corpo reale: Nel caso dell’anoressia strutturale o del binge eating, il corpo diventa il luogo del reale, dove il soggetto si confronta direttamente con il godimento senza mediazione simbolica. -Corpo come oggetto dell’Altro: Antonio Di Ciaccia sottolinea che nei disturbi alimentari il corpo è spesso vissuto come un oggetto dell’Altro, e il controllo sul cibo rappresenta un tentativo di emancipazione da questa relazione. 6. La clinica lacaniana La clinica lacaniana dei disturbi alimentari, sviluppata da autori come Miller, Soler e Di Ciaccia, si concentra sulla singolarità del sintomo e sul modo in cui esso si articola nel discorso del soggetto: -Decifrazione del sintomo: L’analista non cerca di eliminare il sintomo, ma di comprenderne la funzione rispetto al desiderio e al godimento del soggetto. -Apertura dello spazio simbolico: Nei casi più radicali, come l’anoressia strutturale, il lavoro analitico mira ad aprire uno spazio simbolico che consenta al soggetto di rimettere in gioco il desiderio e di ridefinire il rapporto con l’Altro. Conclusione I disturbi alimentari, nell’orientamento lacaniano, sono letti come espressioni del rapporto singolare del soggetto con il desiderio, il godimento e il reale. Gli sviluppi teorici di autori come Jacques-Alain Miller, Colette Soler e Antonio Di Ciaccia arricchiscono la comprensione di questi fenomeni, evidenziando la necessità di una clinica che rispetti la singolarità del sintomo e il posizionamento soggettivo. In questa prospettiva, i disturbi alimentari non sono semplicemente patologie da correggere, ma linguaggi da decifrare, testimonianze del modo in cui il soggetto si confronta con la propria mancanza e il desiderio dell’Altro. L'identità sessuale come costruzione soggettiva L’identità sessuale, secondo Lacan, non è una determinazione biologica o culturale, ma si articola attraverso una sessuazione soggettiva che coinvolge i registri simbolico, immaginario e reale. Questa costruzione è unica per ciascun soggetto e si manifesta come un continuo lavoro di simbolizzazione e annodamento delle influenze anatomiche, culturali e inconsce. Joël Dor sottolinea che l’identità sessuale si fonda sul rapporto del soggetto con la castrazione e con il desiderio: “Il corpo è il luogo di iscrizione del godimento e dei significanti simbolici, un territorio in cui il soggetto affronta la propria mancanza”. Questo implica che ogni soggetto rielabora singolarmente le influenze socio-culturali, operando un’integrazione specifica e irripetibile. Jean-Claude Maleval, lavorando sui soggetti con autismo, mostra che anche in condizioni estreme si evidenzia un bisogno di annodare l’identità sessuale attraverso tentativi personali di simbolizzazione, a conferma della centralità del processo soggettivo. Il ruolo del simbolico e del fallo Nel pensiero lacaniano, il fallo non è un attributo anatomico ma un significante della mancanza, che struttura il desiderio e organizza il godimento. Lacan afferma che il fallo è ciò che “si presenta come sembiante del godimento”, rappresentando una funzione regolatrice che, tuttavia, non colma lo scarto tra simbolico e reale. Jacques-Alain Miller evidenzia che la funzione fallica si declina in modo diverso per ciascun soggetto, poiché il godimento non si limita alla dimensione fallica. Colette Soler aggiunge che “il fallo non basta a dire il godimento femminile, che rimane altrove, in un Altro godimento che sfugge al simbolico”. Questa asimmetria tra il godimento maschile e quello femminile apre uno spazio per l’invenzione soggettiva nella costruzione dell’identità sessuale. Identità di genere e realizzazione soggettiva La proliferazione contemporanea di identità di genere (cisgender, transgender, non-binary, queer) sfida le categorie tradizionali, evidenziando come il soggetto moderno debba confrontarsi con un simbolico frammentato. Lacan, nel seminario Les non-dupes errent, afferma che “l’essere sessuato non si autorizza che da sé”, indicando che ogni soggetto deve inventare un proprio modo di posizionarsi rispetto alla sessualità. Éric Laurent sottolinea che le nuove identità rappresentano tentativi di riscrivere il legame tra simbolico e reale: “I significanti tradizionali sono insufficienti per molti soggetti, che cercano nuove nominazioni per dare forma al proprio rapporto con il godimento”. Questo processo di auto-definizione, spesso espresso attraverso interventi sul corpo o scelte linguistiche, non è un capriccio ma un’esigenza di annodamento soggettivo. L'amore come eterosessualità relazionale Per Lacan, l’amore è sempre amore per l’eteros, ossia per la differenza, e non una fusione narcisistica con l’Altro. Egli afferma che “l’amore implica necessariamente l’eterosessualità, intesa come amore della differenza e non dell’Uno”. Questo supera il binarismo tradizionale e pone l’eterosessualità come una questione relazionale piuttosto che anatomica. Jacques-Alain Miller approfondisce questa idea, affermando che “ciò che conta nell’amore è il riconoscimento dell’alterità dell’altro, indipendentemente dall’anatomia”. Colette Soler aggiunge che questa concezione permette di vedere l’amore autentico anche in coppie omosessuali, purché vi sia una dimensione di alterità e non una fusione narcisistica. L’inconscio e i nuovi modi di nominarsi Il soggetto, di fronte al reale del sesso, si trova costretto a inventare nuovi modi di nominarsi per colmare il vuoto lasciato dal simbolico. Lacan afferma che “la differenza dei sessi non si scrive”, sottolineando che ogni tentativo di simbolizzare il sesso rimane incompleto. Laurent evidenzia che queste nuove nominazioni (queer, non-binary, ecc.) non sono semplici etichette, ma rappresentano “sforzi soggettivi per affrontare il reale del godimento e costruire un’identità sessuale singolare”. Miller, a sua volta, suggerisce che la psicoanalisi debba accogliere tali invenzioni senza giudizio normativo, comprendendole come risposte a un vuoto simbolico. Implicazioni cliniche Dal punto di vista clinico, l’orientamento lacaniano richiede un’attenzione particolare alla singolarità del soggetto. Laurent afferma che il compito del clinico è “riconoscere i nuovi modi di nominarsi come tentativi soggettivi di annodamento e non come deviazioni”. Colette Soler sottolinea che “ogni intervento sul corpo deve essere compreso come parte di un percorso soggettivo e non come una soluzione definitiva”, poiché la sessualità non si esaurisce nelle trasformazioni anatomiche o nelle identificazioni simboliche. Il lavoro psicoanalitico, in questo senso, mira a sostenere il soggetto nel trovare un proprio equilibrio tra desiderio, godimento e simbolizzazione. Conclusione La prospettiva lacaniana, integrata dalle riflessioni di autori come Miller, Soler, Laurent e Dor, offre una comprensione della sessualità come processo soggettivo e dinamico. Le nuove identità sessuali e di genere rappresentano risposte creative a un vuoto simbolico e un confronto con il reale, aprendo spazi per una clinica attenta alla singolarità del soggetto e alle sue invenzioni. Come afferma Lacan: “L’essere sessuato non si autorizza che da sé, ma sempre rispetto all’Altro”. Lo stress come categoria indeterminata
Nella cultura contemporanea, lo stress rappresenta un termine onnipresente, usato per descrivere una vasta gamma di esperienze, dalla fatica fisica alla tensione emotiva. La sua introduzione nella nosologia psichiatrica, attraverso categorie come il Disturbo Acuto da Stress (ASD) e il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD), riflette un tentativo di medicalizzare fenomeni umani complessi e diversificati.Dal punto di vista psicoanalitico, però, lo stress non è soltanto una questione biologica o omeostatica, ma una manifestazione del disagio del soggetto in rapporto al reale. Lacan ci invita a spostare l’attenzione dalla dimensione fenomenologica a quella del desiderio e del godimento, poiché il trauma non si riduce a un evento circoscritto, ma rappresenta l’irruzione di un reale che sfugge alla simbolizzazione. Come osserva nel Seminario XI, “ciò che il trauma introduce è una falla, una rottura irreparabile nell’ordine simbolico”. Il trauma e il ritorno della ripetizione Il Disturbo Post-Traumatico da Stress è caratterizzato da sintomi come flashback, incubi e un ritorno incessante al momento traumatico. Questo movimento di ripetizione sembra contraddire l’idea di un desiderio di fuga dal trauma. Lacan, nel Seminario XI, lega la ripetizione alla pulsione di morte, evidenziando come essa sia “il tentativo di padroneggiare ciò che sfugge al significante, il reale”. Non è l’evento traumatico in sé a essere al centro del ritorno, ma ciò che è rimasto incompiuto, quell’irrealizzato che avrebbe potuto modificare l’accaduto. Questo "supplemento" inesistente è ciò che Lacan chiama il plusgodere, una forma di godimento che spinge il soggetto a rivisitare il trauma non per sanarlo, ma per rielaborarlo in modo nuovo. La colpa del sopravvissuto e il possibile irrealizzato Uno degli aspetti centrali del PTSD è il senso di colpa del sopravvissuto, che non si riferisce tanto all’evento vissuto, ma a ciò che sarebbe potuto accadere e non è avvenuto. Jean-Claude Maleval sottolinea come il soggetto traumatizzato non sia perseguitato dall’evento in sé, ma dalla “forza d’attrazione di un possibile non realizzato”. Questo meccanismo evidenzia il paradosso della colpa: non è una responsabilità reale, ma il prodotto di una frattura tra il desiderio e il reale. Il soggetto torna ripetutamente al momento traumatico nel tentativo inconscio di riscrivere il proprio rapporto con ciò che è accaduto, cercando di attribuire un senso a ciò che è rimasto sospeso. Trauma e godimento: il supplemento di significato Nel Seminario XVII, Lacan introduce il concetto di plusgodere per descrivere quella dimensione di godimento che non è mai completamente colmabile. La ripetizione, in questo senso, non è un semplice ritorno all’evento traumatico, ma un tentativo inconscio di produrre un supplemento di senso, laddove il reale ha lasciato un vuoto. Colette Soler osserva che il soggetto traumatizzato non cerca di tornare alla normalità precedente al trauma, ma tenta di “riscrivere il reale, reintegrandolo in una nuova trama simbolica”. Questo processo non è mai definitivo, ma rappresenta un movimento continuo, una ricerca che il soggetto intraprende per confrontarsi con ciò che, nel trauma, è rimasto fuori dal significante. L’ascolto analitico e il trauma Lacan sottolinea che il trauma non è mai completamente elaborabile, poiché coinvolge il soggetto in un rapporto con il reale che resiste alla simbolizzazione. In questo contesto, l’analista non mira a “curare” il trauma, ma a sostenere il soggetto nel tentativo di articolare il proprio rapporto con ciò che è rimasto sospeso. Éric Laurent afferma che “l’analista deve saper cogliere i modi singolari in cui il soggetto cerca di rispondere al trauma”, rispettando la creatività soggettiva che emerge in questi momenti. Ogni soggetto inventa il proprio modo di confrontarsi con il reale del trauma, e il compito dell’analista è offrire uno spazio che consenta a questa invenzione di emergere. Conclusione Il trauma, nella prospettiva lacaniana, non è un evento da superare ma un incontro con il reale che riorienta l’intera struttura soggettiva. La ripetizione, piuttosto che un ritorno al passato, è un tentativo di integrare il trauma attraverso una nuova configurazione simbolica. Come Lacan scrive, “il reale non smette mai di non iscriversi”, e l’analisi si propone di sostenere il soggetto in questo lavoro incessante di riscrittura e simbolizzazione. La dipendenza come fallimento della funzione simbolica
Nel campo lacaniano, la dipendenza è analizzata come un effetto della rottura o dell’insufficienza della funzione simbolica. Quando il Simbolico non riesce a organizzare il rapporto del soggetto con il proprio desiderio, emergono soluzioni sintomatiche che cercano di suturare questa mancanza. La dipendenza, in questa prospettiva, diventa una modalità attraverso cui il soggetto tenta di “tenere insieme” un reale che appare insostenibile. Come ricorda Jacques-Alain Miller, il godimento compulsivo della dipendenza è un esempio di come il soggetto, di fronte all’insopportabile della propria esistenza, cerchi una risposta immediata, bypassando la struttura del desiderio: “L'oggetto della dipendenza non è mai quello che manca, ma è ciò che satura la mancanza senza risolverla”. Il discorso capitalista e la proliferazione degli oggetti Lacan, nel Seminario XVII, descrive il discorso capitalista come una struttura che esacerba la produzione di oggetti di godimento, alimentando una cultura della dipendenza generalizzata. L’oggetto di consumo diventa una promessa di appagamento totale, ma questa promessa non si realizza mai, perché ciò che il soggetto cerca è un godimento impossibile. Questo genera un circuito infinito di consumo e insoddisfazione, che è il motore stesso del capitalismo contemporaneo. Gli autori del campo lacaniano, come Colette Soler, sottolineano come questo modello non solo influisce sulla diffusione delle dipendenze da sostanze, ma anche su quelle comportamentali, come il gioco d’azzardo, la dipendenza dai social media o l’eccesso di lavoro. In tutte queste forme, ciò che si manifesta è un “eccesso di godimento” che sfugge alla regolazione simbolica: un godimento senza limite, sganciato dall’Altro e dall’ideale. Dipendenza e godimento mortifero La nozione di godimento, centrale in Lacan, si rivela cruciale nella comprensione delle dipendenze. Nel Seminario VII, Lacan distingue tra il godimento legato al principio di piacere, che cerca di evitare il dolore eccessivo, e il godimento mortifero, che invece spinge il soggetto oltre i limiti del piacere, verso una sofferenza che si accompagna al godimento stesso. La dipendenza incarna questa dinamica: il soggetto non si accontenta del piacere moderato, ma è attratto da un godimento eccessivo e autodistruttivo. Laurent Dupont, psicoanalista lacaniano, descrive questo fenomeno come un “ritorno del reale”, in cui il soggetto è travolto da un godimento che non riesce a simbolizzare. La sostanza o il comportamento dipendente diventa così una via d’accesso a un godimento che sfugge alla parola e al senso. La terapia come spazio per il ritorno della parola Nel trattamento delle dipendenze, il campo lacaniano sottolinea l’importanza di restituire al soggetto un rapporto con il linguaggio e con il desiderio. La dipendenza, infatti, è spesso una modalità per evitare il confronto con la propria mancanza. Attraverso il lavoro analitico, il soggetto può iniziare a trasformare il proprio sintomo, esplorando ciò che esso rivela sulla propria struttura soggettiva. Come osserva Éric Laurent, “la dipendenza non è solo un sintomo, ma una soluzione che il soggetto ha inventato per affrontare il proprio reale”. L’obiettivo della terapia non è eliminare la dipendenza, ma permettere al soggetto di costruire una nuova relazione con il proprio godimento, introducendo una dimensione simbolica che consenta di elaborare il vuoto sottostante. Oltre il sintomo: l’invenzione singolare del soggetto Un aspetto distintivo dell’approccio lacaniano è l’attenzione alla singolarità del soggetto. Ogni dipendenza è unica, perché unica è la relazione che ogni soggetto intrattiene con il proprio desiderio e il proprio godimento. La terapia, quindi, non segue un protocollo predefinito, ma si adatta alla logica particolare del sintomo del paziente. Lacan stesso, nel Seminario XXIII, parla del sinthome come di una costruzione che permette al soggetto di sostenere il proprio essere. La dipendenza, in questa ottica, può essere vista come un sinthome che il soggetto ha creato per gestire il proprio reale. Il lavoro analitico mira a trasformare questa costruzione, rendendola meno distruttiva e più integrata nel percorso del desiderio del soggetto. Conclusione La dipendenza, secondo l’approccio del campo lacaniano, è una risposta soggettiva a un vuoto strutturale e a un reale insopportabile. In un’epoca dominata dal discorso capitalista, che esacerba la proliferazione degli oggetti e l’immediatezza del godimento, la dipendenza diventa una forma diffusa di sofferenza psichica. La psicoanalisi, lungi dal cercare di “curare” il sintomo, offre al soggetto la possibilità di reinventare il proprio rapporto con il desiderio, con il godimento e con la parola, aprendo la strada a una nuova modalità di esistenza. Come sottolinea Miller, “il sintomo non è un ostacolo da eliminare, ma una verità da ascoltare”. La sessualità come campo del desiderio
Nell'orientamento lacaniano, la sessualità non può essere concepita come un mero ambito biologico o fisiologico, né ridotta a una semplice concatenazione di stimoli e risposte. Al contrario, essa si inscrive nell’economia del desiderio, che è strutturata dall’inconscio e dal rapporto del soggetto con il linguaggio e con l’Altro. La sessualità, pertanto, non si articola secondo una linearità oggettivabile, come suggeriscono le categorie diagnostiche del DSM-5, ma emerge come una scena complessa in cui si giocano il godimento, la mancanza e la posizione del soggetto rispetto al reale. Lacan, nel suo insegnamento, sottolinea l’impossibilità intrinseca del rapporto sessuale (“Il rapporto sessuale non esiste”), ponendo al centro la disgiunzione tra i sessi come costitutiva. Questa impossibilità non è semplicemente un problema, ma una verità strutturale che segna ogni soggetto e la sua relazione con il desiderio. I disturbi sessuali, in questa prospettiva, non sono deficit da correggere, ma espressioni di un disagio che il soggetto incontra nel fare i conti con questa impossibilità. Il sintomo sessuale come formazione del desiderio Un disturbo sessuale, come una difficoltà di erezione o una mancanza di desiderio, non può essere letto solo come un problema del corpo, ma deve essere compreso come un sintomo che parla della posizione del soggetto rispetto al proprio godimento e al legame con l'Altro. Il sintomo sessuale, in questa prospettiva, non è un errore, ma una formazione dell’inconscio che contiene una verità singolare per il soggetto. Ad esempio, l’impotenza o l’anorgasmia possono essere espressioni di una difesa inconscia contro il godimento, che il soggetto percepisce come minaccioso o intrusivo. In altri casi, queste difficoltà possono segnalare il tentativo di proteggersi da una perdita simbolica legata alla sessualità stessa. Lacan sottolinea che il desiderio è sempre desiderio dell’Altro, e le difficoltà sessuali riflettono spesso un’impasse nel rapporto con questo Altro: un partner reale, un ideale o una fantasia. Godimento e impossibilità del rapporto sessuale La distinzione lacaniana tra il godimento e il desiderio offre un contributo fondamentale alla comprensione dei disturbi sessuali. Mentre il desiderio è legato alla mancanza e si articola nel registro simbolico, il godimento appartiene al reale e sfugge alla regolazione del linguaggio. I disturbi sessuali si collocano spesso in questo scarto: il soggetto può desiderare sul piano simbolico, ma non riesce a tradurre questo desiderio in godimento corporeo, o al contrario può essere catturato da un godimento che interrompe la dinamica del desiderio. Lacan descrive il godimento come eccedente, qualcosa che il soggetto non può completamente padroneggiare. Questa eccedenza è evidente nei disturbi sessuali, dove il corpo sembra sottrarsi alla volontà del soggetto. Tuttavia, questa sottrazione non è un mero fallimento, ma l’effetto di una logica inconscia che struttura il rapporto del soggetto con il proprio corpo e con l’Altro. Il partner e la funzione dell’Altro Dal punto di vista lacaniano, il partner non è mai semplicemente un altro corpo, ma assume la funzione di Altro: il luogo del desiderio, dell’attesa e della mancanza. I disturbi sessuali emergono spesso come difficoltà a posizionarsi rispetto a questo Altro. Ad esempio, il disturbo erettile può essere letto come un’incapacità di rispondere al desiderio dell’Altro, mentre il vaginismo può indicare una difesa contro un godimento percepito come minaccioso. Il rapporto con il partner, quindi, non è mai solo un dato relazionale, ma un campo in cui si giocano le tensioni tra desiderio, godimento e mancanza. La clinica lacaniana mira a esplorare queste dinamiche, non per “aggiustare” la relazione, ma per permettere al soggetto di interrogare il proprio desiderio e il proprio rapporto con l’Altro. La terapia come spazio per il desiderio Il trattamento dei disturbi sessuali, nell’ottica lacaniana, non si limita alla rimozione del sintomo. L’obiettivo non è ristabilire una funzionalità sessuale “normale”, ma offrire al soggetto uno spazio in cui possa interrogare il proprio desiderio e rielaborare il proprio rapporto con il godimento. La clinica lacaniana non propone protocolli standardizzati, ma si fonda sull’ascolto della singolarità del soggetto. Ogni disturbo sessuale è unico, perché unica è la struttura del desiderio di ogni soggetto. La terapia mira a far emergere questa singolarità, aiutando il paziente a costruire un nuovo rapporto con il proprio sintomo e con la propria mancanza. Conclusione I disturbi sessuali, nell’orientamento lacaniano, sono espressioni di un conflitto intrinseco al desiderio e al godimento. Non si tratta di deficit da correggere, ma di manifestazioni della posizione del soggetto rispetto alla propria struttura inconscia. La psicoanalisi offre uno spazio in cui queste difficoltà possono essere esplorate e trasformate, restituendo al soggetto la possibilità di confrontarsi con il proprio desiderio e con la verità del proprio sintomo. Come scrive Jacques-Alain Miller, “Il sintomo sessuale non è mai un errore del corpo, ma il modo in cui il soggetto risponde al reale del proprio essere”. La logica perversa e la costruzione del desiderio La perversione, secondo Lacan, non è una deviazione dal normale, ma una struttura del desiderio. Lacan afferma che "Il desiderio è il desiderio dell'Altro" (Écrits, 1966), sottolineando come il desiderio per il soggetto perverso sia sempre mediato dall’Altro. Questa nozione si intreccia con il concetto di godimento (jouissance), in cui, come dice Lacan, "Il godimento non si lascia soggiogare alla legge simbolica" (Le Séminaire, livre XX: Encore, 1972-1973). La perversione è, in questo senso, una modalità in cui il soggetto cerca di sottrarsi alla castrazione simbolica, mantenendo il godimento fuori dal dominio simbolico. Sade, in questo contesto, offre un esempio estremo di questa logica perversa. Il pensiero sadiano esprime un totale rifiuto dell'interdizione simbolica, della legge, e della castrazione, ponendo al centro l'esperienza immediata del godimento fisico, senza alcuna mediazione simbolica. In Kant con Sade, Lacan esplora il pensiero di Sade come una manifestazione di quella "logica perversa" in cui il godimento non è regolato né dalla legge né dal desiderio dell'Altro, ma diventa un godimento assoluto che schiaccia ogni possibile distinzione tra soggetto e oggetto. In Sade, il corpo e il godimento diventano la sola realtà, e l'Altro è ridotto a un oggetto da possedere e distruggere. L’aspetto sadiano si manifesta quindi come una negazione del desiderio simbolico, dove la relazione intersoggettiva è completamente sovvertita e il soggetto persegue il godimento attraverso l’annientamento dell’Altro. La relazione con l’Altro: il ruolo materno e la mancanza del padre Lacan definisce la funzione del padre come "l'interdizione del desiderio" (Écrits, 1966). Questo legame tra desiderio e interdizione è cruciale per comprendere la perversione: la mancata accettazione della castrazione simbolica fa sì che il perverso rimanga legato a un oggetto a che è, in un certo senso, inaccessibile al desiderio simbolico. La madre, in questo scenario, continua a essere l'oggetto del desiderio non interrotto, come se il perverso rifiutasse di affrontare la separazione che la legge paterna impone. Nel caso di Sade, questa logica di evasione dalla castrazione si esplica in un atto di dominio totale sull’Altro. Sade, infatti, elimina ogni potenziale mediazione simbolica, riducendo l'Altro a oggetto di godimento e distruzione, rifiutando l’interdizione paterna che Lacan descrive come fondamentale per la strutturazione del desiderio. L’Altro, nell’universo sadiano, non è più l'oggetto del desiderio, ma solo un oggetto da consumare, senza che vi sia spazio per il riconoscimento di una mancanza simbolica. Il soggetto perverso e la pulsione Nel Séminaire XI (1964), Lacan distingue la pulsione dal desiderio, indicando che "la pulsione è sempre in direzione dell'oggetto a" (Le Séminaire XI: Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse). La pulsione non ha una finalità, ma tende sempre verso un oggetto che resta irrimediabilmente perduto, condannando il soggetto a una ripetizione incessante. In questo senso, Miller sottolinea che "La perversione è una condizione in cui il soggetto rifiuta l'interruzione della ripetizione e resta legato a un godimento impossibile" (1996). In Sade, questa pulsione si esprime senza limiti, senza alcun tentativo di integrare la frustrazione che la separazione simbolica comporta. La ripetizione sadiana è un atto che schiaccia ogni possibilità di interruzione, impedendo al soggetto di confrontarsi con la mancanza. L'oggetto di godimento in Sade è sempre lo stesso, mai raggiungibile pienamente, ma sempre ri-evocato in un ciclo che non conosce fine. La perversione come strategia di difesa Lacan scrive che "la perversione è una difesa contro l'angoscia della castrazione" (Séminaire X: L'angoisse, 1962-1963). In effetti, la perversione è una strategia psichica che il soggetto adotta per evitare la frustrazione e l'angoscia che derivano dalla mancanza simbolica. Questo consente al perverso di mantenere un attaccamento al godimento, senza dover fare i conti con la separazione dal desiderio dell'Altro. Nel caso di Sade, il rifiuto dell'angoscia della castrazione diventa estremo e assoluto. Sade, infatti, incarna la perversione come una forma di difesa che annulla qualsiasi relazione simbolica e ogni possibilità di separazione dal godimento. Il soggetto sadiano non accetta la mancanza come condizione del desiderio, ma costruisce un mondo in cui il godimento e il dominio sono l'unica realtà, senza alcuna interruzione o limitazione. L’interpretazione lacaniana della perversione in contesti clinici Nel contesto clinico, Lacan afferma che "la perversione è una modalità di resistenza alla legge simbolica" (Le Séminaire, livre XX: Encore, 1972-1973). Questo significa che, attraverso la perversione, il soggetto evita di affrontare la castrazione simbolica, restando ancorato a un fantasma che gli permette di non dover fare i conti con la frustrazione della mancanza. La perversione, quindi, offre una protezione psicologica contro l’angoscia del vuoto simbolico, permettendo al soggetto di vivere in un mondo chiuso in cui il godimento non è mai interrotto. Sade, come figura paradigmatica della perversione, illustra come questo meccanismo di resistenza possa prendere la forma di un universo in cui la legge simbolica è abolita, e dove il soggetto si illude di poter perpetuare il godimento infinito. Il sadismo, in questo contesto, si configura come una modalità di esistenza in cui ogni barriera simbolica è distrutta, lasciando il soggetto nella solitudine assoluta del proprio godimento. Conclusioni In conclusione, come Lacan scrive nel Séminaire XI, "il perverso è colui che, in un certo senso, non vuole separarsi dal suo desiderio" (Le Séminaire XI: Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse, 1964). Il lavoro terapeutico, quindi, si propone di far prendere coscienza di questo legame e di aiutare il soggetto a confrontarsi con la propria mancanza simbolica, aprendo la via a una trasformazione del desiderio e del godimento. La riflessione su Sade in Lacan, inserita in questo quadro, dimostra come la perversione rappresenti una resistenza assoluta alla legge simbolica e una ricerca incessante di un godimento che non passa attraverso l’Altro né la separazione. Sade, dunque, non è solo una figura letteraria, ma un esempio radicale di ciò che Lacan definisce come la logica del perverso: un tentativo di sottrarsi al desiderio e alla castrazione, mantenendo il godimento in uno stato di perpetua ripetizione e negando ogni possibilità di interruzione simbolica. Secondo Lacan, la depressione, tanto nelle nevrosi quanto nelle psicosi, è profondamente legata al desiderio e alla sua mancata realizzazione. Tuttavia, mentre nelle nevrosi la depressione emerge come il risultato di un tradimento del desiderio o di una disconnessione dalla vocazione autentica del soggetto, nelle psicosi essa assume una forma ben più complessa e radicale, segnata da una frattura strutturale.
Il Tradimento del Desiderio nelle Nevrosi Lacan descrive la depressione come una sorta di viltà morale, dove l’individuo rinuncia a perseguire il proprio desiderio più autentico. Questo tradimento del desiderio genera un malessere profondo, un senso di insoddisfazione che, se non affrontato, può degenerare in depressione. La depressione nevrotica nasce, infatti, da una sfasatura tra il desiderio del soggetto e la realtà che lo circonda, una dissonanza che lo spinge a reprimere o ignorare la propria vocazione fondamentale. Questo tradimento di sé produce un senso di colpa profondo, che Lacan considera l'unico peccato giustificabile: il cedere sul proprio desiderio. La Depressioni nelle Psicosi: La Frattura con il Simbolico Nel caso delle psicosi, il quadro cambia radicalmente. In una psicosi, la depressione non è un semplice riflesso della mancata realizzazione del desiderio, ma è una conseguenza della frattura tra il soggetto e l'ordine simbolico. La psicosi implica una disconnessione profonda dal Simbolico, ovvero dalla dimensione linguistica e sociale che dà significato e orientamento alla vita psichica. Lacan ci dice che il soggetto psicotico vive una difficoltà radicale nel significare il proprio desiderio: la funzione del Nome-del-Padre, che organizza la realtà psichica, è compromessa, e di conseguenza il desiderio rimane senza una forma chiara o una via di realizzazione. La depressione psicotica, quindi, non è solo il risultato di un fallimento nel soddisfare un desiderio, ma una manifestazione di una perdita di senso profonda, un’esperienza di angoscia esistenziale derivante dalla mancanza di legame simbolico. Jouissance e Depressione Psicotica Lacan introduce il concetto di jouissance (godimento) per spiegare il paradosso che la depressione porta con sé: mentre nelle nevrosi il sintomo rappresenta un modo distorto di soddisfare il desiderio, nelle psicosi la depressione può essere vista come una forma di jouissance autolesionista, un godimento malato che affligge il soggetto e che il soggetto non riesce a dominare. Nelle psicosi, la depressione può quindi esprimere una impossibilità di localizzare il desiderio, che rimane frammentato e senza oggetto, creando una sensazione di vuoto esistenziale che non è riconducibile alla semplice sofferenza psichica, ma a una disorganizzazione profonda della psiche. Il Lutto nelle Psicosi: Impossibilità di Elaborazione Anche nelle psicosi, la depressione può essere associata alla dimensione del lutto, ma con una caratteristica unica: mentre nella nevrosi il soggetto è in grado di affrontare, più o meno consapevolmente, il proprio lutto e di ri-orientare il proprio desiderio verso altri oggetti significativi, nel caso della psicosi il lutto non viene mai veramente “elaborato”. La rottura simbolica con l’oggetto perduto è così radicale che il soggetto non può intraprendere un processo di elaborazione del lutto, rimanendo sospeso in un dolore senza fine. La depressione psicotica, quindi, non è solo il segno di un fallimento nell'affrontare una perdita, ma una sofferenza senza risoluzione, un dolore che non trova un significato simbolico e che rimane in stallo nella psiche del soggetto. Simbolico, Reale e la Depressione La depressione psicotica può essere vista anche come il risultato di una rottura tra il Simbolico (le leggi del linguaggio e della società) e il Reale (quello che non può essere simbolizzato, l’indicibile). La depressione emerge quando il soggetto si trova incapace di far corrispondere il proprio desiderio e la propria esistenza alle leggi simboliche che dovrebbero ordinarle. Questo diventa evidente quando il soggetto non riesce a collocare il proprio desiderio in un contesto comprensibile e non riesce a rendere simbolico il proprio vissuto, cadendo in una spirale di angoscia e disorientamento. Conclusione: La Terapia Lacaniana nella Depressione L’approccio lacaniano alla depressione, sia essa nevrotica che psicotica, si concentra sulla decodifica del sintomo come un tentativo di ripristinare il legame simbolico e di rispondere alla chiamata del desiderio. Se nella nevrosi il soggetto può sperimentare il sintomo come una distorsione del desiderio, nelle psicosi il sintomo diventa il segno di una frattura radicale nell’organizzazione psichica. La terapia psicoanalitica lacaniana, in entrambi i casi, ha lo scopo di aiutare il soggetto a riconoscere e affrontare le proprie contraddizioni inconsce, a recuperare il proprio desiderio e a ristabilire un ordine simbolico che dia significato alla propria esistenza. In ultima analisi, Lacan ci invita a guardare la depressione non solo come una malattia da trattare, ma come un messaggio profondo dell’inconscio che cerca di manifestarsi, e il lavoro terapeutico consiste nel cercare di interpretare e decodificare quel messaggio per permettere al soggetto di ritrovare la via del desiderio e della realizzazione del proprio essere. |